NEW YORK – L’ascia di Donald Trump si abbatte pure su Harvard: la più antica istituzione universitaria d’America, fondata nel 1693 a Cambridge, Massachussetts. Università privata, parte dell’eccellenza Ivy League, è considerata la più ricca del mondo e ha avuto alunni celebri come John Fitzgerald Kennedy, Henry Kissinger e pure Mark Zuckerberg che proprio fra le sue aule concepì l’idea di Facebook.
Come già fatto con la newyorchese Columbia e con l’università della Pennsylvania, cui sono già stati tagliati i fondi ed è stato ordinato d’autorità di espellere gli studenti stranieri coinvolti nelle proteste (mentre alcuni sono stati addirittura arrestati) l’amministrazione Trump ora accusa pure Harvard di «non aver protetto abbastanza gli studenti ebrei» durante le proteste pro-Palestina dell’anno scorso. E, peccato ancor più grande ai loro occhi, ha promosso «ideologie divisive» sulla libera ricerca. A poco vale che già da qualche mese Drew Gilpin Faust, rettrice del celebre campus, stia cercando di adeguarsi alle richieste del governo: limitando, di fatto, la libertà di parola di professori e studenti. Un approccio che per altro ha provocato numerose critiche interne, con addirittura 700 membri della facoltà che hanno firmato una lettera dove si chiedere di difendere con più forza i valori della storica istituzione e «organizzare un’opposizione coordinata a questi attacchi antidemocratici». Nessun tipo d’approccio è servito.

Ieri il governo ha infatti annunciato di voler riesaminare i contratti federali dell’ateneo di un valore di 255,6 milioni di dollari. E pure le sovvenzioni pluriennali a venire pari a 8,7 miliardi. Minacciando di fatto di tagliargli ben 9 miliardi di dollari di finanziamenti. Ennesima mossa per far pressione sulle università americane affinché cambino le loro politiche su una serie di questioni ideologiche e culturali, con buona pace della libertà accademica e di parola. Columbia, d’altronde, ha già ceduto: annunciando di aver apportato le modifiche richieste dall’amministrazione per poter poi avviare negoziati per riconquistare i suoi finanziamenti federali. Una mossa, quella dell’università liberal per eccellenza, che però non è piaciuta agli studenti. L’altro ieri un centinaio di ex alunni ha infatti strappato platealmente i propri diplomi di laurea davanti ai cancelli dell’ateneo, nel corso di una clamorosa protesta. E un report denuncia che un alto numero di potenziali matricole sta rifiutandosi di andare avanti con l’iscrizione dopo aver vinto l’ammissione. Fatti che nel weekend hanno spinto la presidente ad interim dell’università Katrina Armstrong a presentare le sue dimissioni.
La minaccia nei confronti di Harvard è la stessa: «La sua reputazione è macchiata. Ha fatto torti agli studenti ebrei che deve correggerli» ha affermato la segretaria dell’Istruzione Linda McMahon. Con buona pace del fatto che l’ateneo ha sempre affermato di opporsi a ogni tipo di discriminazione e di aver istituito una task force per contrastare i pregiudizi contro ebrei e arabi.
Nel pieno di questo clima intimidatorio, che contempla pure lo smantellamento dell’agenzia che si occupava di studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute, 1900 studiosi americani o che comunque insegnano negli Stati Uniti, hanno firmato una lettera aperta contro gli attacchi dell’amministrazione alla Scienza. Medici, scienziati, ingegneri, climatologi e specialisti di molte altre materie hanno sottoscritto la denuncia sull’assalto dell’amministrazione alle istituzioni scientifiche statunitensi. Incluse, appunto, le minacce alle università, le cancellazioni di sovvenzioni federali, le revisioni di finanziamenti su base ideologica, i licenziamenti di massa. Insomma, la censura: «Abbiamo convinzioni politiche diverse, ma siamo uniti come studiosi nel proteggere la ricerca scientifica indipendente. Il nostro è un SOS, stiamo tornando indietro di decenni». Fra i firmatari, pure diversi Premi Nobel come Harvey J. Alter, scopritore del virus dell’Epatite C. L’astrofisico Reinhard Genzel, il neuroscenziato Edvard I. Moser.