Ci eravamo dimenticati di Silvio Berlusconi. Il tempo passa per tutti. Lo giudicavamo demodé. Un anziano acciaccato. La mesta controfigura dell’ossessione che aveva diviso lo Stivale, tra chi lo adorava (“meno male che Silviooo c’è”) e chi lo riteneva un pericolo per la democrazia. Ventennio berlusconiano era stato definito il suo regno, come per quell’altro lì, a cui tante volte era stato paragonato: per la pelata, il virilismo esibito, l’alcova. Il suo universo morale, da Drive In alle cene eleganti, l’ottimismo del cummenda “ghe pensi mi”, tutto questo era tramontato da un pezzo. Nessuno guarda più Dallas su Canale 5 la sera. Silvio ci era venuto a noia.
E invece rieccolo, a 85 anni suonati, puntare deciso al Quirinale. Silvio Berlusconi fa sul serio. Lo dimostra la sfida lanciata ieri sera a Mario Draghi, il suo competitor principale: “Se lui va al Colle noi usciamo dal governo”. Nel vuoto di un Parlamento senza bussola né registi, nel quale nessuno governa i 1009 grandi elettori, ha intuito che c’è uno spazio da riempire. Perciò è l’unico candidato che parte da una base sicura di voti: i 450 del centrodestra. Gliene mancano altri cinquanta almeno, per farsi eleggere alla quarta votazione, quando serviranno 505 schede. Dal divano di Arcore, da dove è raro che metta ormai il naso fuori, fa quello che ha fatto per tutta una vita: il venditore. Briga, telefona, seduce, manda in regalo quadri e tele ai cani sciolti annidati nelle Camere. Sono tantissimi e chiedono soltanto di essere rassicurati che non si andrà al voto dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. “Per questo ci sono io”, li lusinga. “Mi dai una mano, allora?”.
Pazza idea. Lo pensano anche gli amici più stretti, da Fedele Confalonieri a Gianni Letta. Ma anche costruire Milano 2, prendere il Milan ad un passo dalla B e poi vincere cinque coppe Campioni, candidarsi alla guida di palazzo Chigi e sbaragliare il piccolo mondo politico romano nel 1994, facendo poi il premier per quattro volte, erano propositi folli. Ed è proprio questo che non gli dà pace. Berlusconi lo fa per dispetto al mondo. Si è sempre sentito un parvenu, un outsider. Nell’imprenditoria, nell’establishment, nel calcio, in politica, sempre è stato questo complesso d’inferiorità a smuovergli l’istinto titanico di rivalsa, la smania ossessiva di emergere. Nel 1977, quando si fece fotografare da Alberto Roveri col revolver alle spalle, rivelò a Roberto Gervaso: “Mentre tu sei ad un cocktail e sfiori giovani schiene di donne, o balli sentendo contro il tuo petto giovani seni, in quel preciso momento, in qualche stanzetta piena di fumo, c’è un giovane che lavora, e magari imprecando, fa quel che dovresti fare tu”. Nessuno scommette un centesimo su di lui. Tutti pensano che finirà affondato dai franchi tiratori, che giammai Giorgia Meloni e Matteo Salvini gli permetteranno di farsi comandare dall’alto Colle, dopo tutta la fatica che hanno fatto per affrancarsi. Ma è proprio questa condizione di sfavorito a rendere il suo istinto più affilato. Nessuno ha mai creduto veramente in Silvio, questa è la sua forza misteriosa anche stavolta.
Nel suo discorso di Capodanno Sergio Mattarella, che fu un grande avversario di Berlusconi, al punto da dimettersi come ministro nell’estate del 1990 contro la legge Mammì che favoriva la Fininvest, ha tracciato l’identikit di come deve essere un Presidente della Repubblica: super partes e con un senso sacro delle istituzioni. Berlusconi, voleva dirci implicitamente il Capo dello Stato, non ne possiede i requisiti morali. “Forse non ho il senso dello Stato, ma ho senso dei cittadini”, disse di sé una volta il Cavaliere.
È stata la mano di Mattarella
di Concetto Vecchio 08 Dicembre 2021
Al Quirinale sono sempre stati eletti dei galantuomini. Magari grigi, ma specchiati. Pertini e Saragat erano stati partigiani. Ciampi fu tra i fondatori del Partito d’azione. Einaudi era così frugale da dividere con i commensali le pere che gli servivano a tavola. Scalfaro veniva dall’Azione cattolica. Mattarella non ha frequentato un solo salotto in sette anni. In piena pandemia si vuol invece eleggere un leader estromesso dal Parlamento perché condannato per frode fiscale, sinonimo nel mondo di Bunga bunga, cacciato dal governo per lo spread a 550, iscritto alla P2. Uno che propose di ribattezzare il suo partito “Forza gnocca” (il Tg3 ci aprì il telegiornale: c’è il video su Youtube). Da premier, durante un comizio in piazza San Giovanni a Roma, promise che il cancro sarebbe stato sconfitto in tre anni. Da imputato si fece confezionare le leggi ad personam per evitare i processi, manco nella Repubblica delle banane. Un signore ossessionato dal sesso che diceva “meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”. Un buontempone che raccontava barzellette come questa in pubblico: “Stamani in albergo volevo farmi una ciulatina con una cameriera. Ma la ragazza mi ha detto “presidente, ma se lo abbiamo fatto un’ora fa”. Vedi che scherzi che fa l’età!”
Abbiamo fatto tanto per lasciarci alle spalle il grillismo, con i suoi guasti, e ora il Parlamento in seduta comune davvero pensa di mandare al Colle il padre del populismo italiano? Sfogliare Una storia italiana, la rivista che il Cavaliere fece recapitare nelle case di tutti gli italiani nel 2001 (c’era già internet, ma usava la posta) è istruttivo. Voleva l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Oggi lo chiede Meloni. Proponeva il dimezzamento del numero dei parlamentari. L’ha fatto Luigi Di Maio, che è il nipote che ha sempre sognato. Come i grillini anche Berlusconi si dichiarava “né di centro, né di sinistra o di destra. Forza Italia è semplicemente ciò che è indispensabile e urgente per il bene dell’Italia”. Un leader che non ha mai creduto alle idee, che guardava a quelle elezioni come a “un appuntamento con la storia”. Meno tasse e un buon lavoro per tutti. E dentro le foto con Veronica, “il grande amore”. Sono passati più di vent’anni e Silvio è alla vigilia di un altro appuntamento con la storia.
Rino Formica: “È come nel ’92. Per il Quirinale rischiamo un’elezione tombola”
di Concetto Vecchio 02 Gennaio 2022
Si guarda al suo ritorno con stanchezza. Le vecchie passioni sono sopite. In fondo anche noi siamo cambiati. Silvio ci tedia. E tuttavia ci interpella e non ci esime dal chiederci che cosa ci dice tutto questo. Del carattere di noi italiani, alle prese con un fantasma. “Il solo ideale che Berlusconi agita come una bandiera è quello della libertà. Ma questa è libertà è innanzitutto la sua. È la libertà di fare quel che vuole senza essere limitato da niente e da nessuno. È un fantasma della libertà” osservò anni fa lo psicanalista Massimo Recalcati.
Silvio Berlusconi, insomma, incarna in qualche modo la parte oscura della nazione. E in questa tela intricata e indiretta come i colpi di carambola che è la partita per il Quirinale, in cui si alternano tragedia e farsa, si rischia “l’elezione tombola”, come l’ha definita Rino Formica. Tutto può accadere, anche che esca, per sbaglio, il suo nome. Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Povera patria.