TRIESTE – Il corpo della donna trovata morta lo scorso 5 gennaio nell’area boschiva dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni è di Liliana Resinovich, la sessantatreenne triestina scomparsa il 14 dicembre. È stato il fratello, Sergio, a effettuare il riconoscimento. Il fratello non ha visto direttamente il corpo della sorella, bensì le foto della salma.
La Procura di Trieste, intanto, ha aperto un fascicolo di indagine per omicidio. Ne ha dato notizia il quotidiano Il Piccolo di Trieste. Il fascicolo, a carico di ignoti, era stato aperto subito dopo la notizia di scomparsa. Finora, secondo quanto si apprende, si trattava di una indagine per sequestro di persona. Ma ora l’inchiesta è per omicidio. L’autopsia sul cadavere, affidata ai medici legali Fulvio Costantinides e Fabio Cavalli, ha dimostrato che la donna è morta per soffocamento.
La Tac non ha rilevato segni di violenza. Nessuna percossa, nulla di evidente che possa far pensare a un omicidio. Niente, per il momento. Ma sarà l’autopsia, programmata per oggi pomeriggio, a svelare le cause della morte del cadavere rinvenuto lo scorso 5 gennaio all’interno dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste. La Procura, che coordina le indagini della Squadra mobile (pm Maddalena Chergia), continua a parlare di “elevata probabilità” che possa trattarsi della sessantatreenne triestina Liliana Resinovich, scomparsa il 14 dicembre. Ma non c’è l’ufficialità. E i famigliari non sono ancora stati chiamati per il riconoscimento.
La salma – quella di una donna esile, corrispondente alla corporatura di Liliana – era infilata in due sacchi neri. La testa, invece, avvolta i due sacchetti di nylon trasparenti, di quelli che si usano abitualmente per la frutta e la verdura. C’erano anche degli occhiali, molto simili a quelli che si vedono in varie foto che ritraggono la signora.
L’esame autoptico, affidato ai medici legali Fulvio Costantinides e Fabio Cavalli, farà finalmente luce sul mistero. L’esito è atteso in serata. O, al più tardi, domani. Sarà così possibile stabilire anche quando la donna è deceduta. Il sospetto, infatti, è che il corpo possa essere stato portato sul luogo del ritrovamento – nella fitta vegetazione del parco, a una ventina di metri dal vialetto principale che attraversa il comprensorio – in un momento successivo alla morte. Il cadavere potrebbe quindi essere stato prima nascosto.
La Procura ha aperto un fascicolo, ma da quanto risulta senza indagati. E l’ipotesi del suicidio resta tutt’ora in piedi. In queste settimane gli investigatori hanno focalizzato gli accertamenti su quanto ha riferito il marito di Liliana, il settantaduenne Sebastiano Visentin, su come ha trascorso la giornata del 14 dicembre – cioè quando la moglie è scomparsa – e quelle successive.
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Visintin sostiene che il giorno della sparizione era prima andato a ritirare alcuni coltelli in supermercati e pescherie del centro e della zona periferica cittadina; l’uomo, ex fotografo in pensione, ha infatti un laboratorio in cui affila le lame. Un’attività che svolge in nero, ha spiegato. Quella mattina, dopo il ritiro dei coltelli, si è recato nel suo laboratorio “per un paio d’ore”. Così almeno ha detto. Verso mezzogiorno, sempre secondo la sua deposizione, è andato a fare un giro in bicicletta per testare una nuova telecamera GoPro. In un primo momento, però, il settantaduenne aveva fornito una versione diversa, omettendo di aver trascorso quella prima parte della mattinata a occuparsi dei coltelli. Non aveva fatto riferimento al ritiro nei supermercati e nelle pescherie. E nemmeno alle ore passate in laboratorio.
Spostamenti che gli investigatori stanno ora cercando di verificare, anche attraverso l’analisi delle celle telefoniche agganciate dall’uomo in quelle ore.
Liliana Resinovich quella mattina aveva un appuntamento con un suo amico di vecchia data, l’ottantaduenne Claudio Sterpin, con cui aveva una relazione. Stando a quanto emerso, la donna aveva intenzione di lasciare il marito. Liliana e Claudio avrebbero dovuto trascorrere assieme il weekend successivo, quello del 18-19 dicembre. Ma quattro giorni prima la donna è scomparsa. Nella casa in cui viveva assieme al coniuge, quella di via Verrocchio 2, nel rione di San Giovanni, a Trieste, sono stati rivenuti i due cellulari in possesso della signora e pure la borsetta, spuntata però soltanto una settimana dopo la scomparsa. E durante la perquisizione della polizia. Il marito ha affermato di non essersi accorto che la borsetta della moglie – con il portafoglio e i documenti – fosse dentro a un mobile della camera da letto, assieme agli altri oggetti.
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L’unica segnalazione su un possibile avvistamento della donna è della fruttivendola rionale, che sostiene di aver notato passare Liliana davanti al suo negozio proprio la mattina della scomparsa, tra le 8.15 e le 8.30. “Era lei, l’ho riconosciuta dal ciuffo bianco dei capelli”. Il negozio è a poche decine di metri dall’abitazione della sessantatreenne. Ma le telecamere della zona, quelle della Scuola di polizia, non avrebbero ripreso il passaggio della donna. E nemmeno quelle degli autobus del capolinea situato a pochi passi dal negozio della fruttivendola. Liliana, quindi, potrebbe non essere mai salita su un bus. Qualcuno potrebbe averla avvicinata e per farla entrare in auto.