La variante Omicron potrebbe essersi originata nei topi, a partire da un suo progenitore passato dall’uomo al topo, e poi essere arrivata a noi dopo un doppio salto di specie. Questa è l’ipotesi – suffragata da molteplici indizi che si incastrano in un quadro convincente – che un gruppo di genetisti cinesi guidati da Wenfeng Qian, ricercatore dell’Institute of Genetics and Developmental Biology della Chinese Academy of Sciences, sta per pubblicare sul Journal of Genetics and Genomics. Nel nuovo studio cinese si risponde alla domanda “Da dove viene la bizzarra variante Omicron?” lanciata in un recente editoriale di Science, in cui si faceva notare che Omicron chiaramente non si è evoluta dalle precedenti varianti di interesse (come Alfa e Delta), ma che sembra aver avuto un’evoluzione distinta e parallela, e inosservata. Caratteristiche che rendono plausibile l’idea di uno sviluppo della variante in una “riserva” animale”.
Professor Qian, nel vostro studio sostenete che il rapido accumulo di mutazioni che si è visto in Omicron suggerisce che la sua origine sia in mammiferi diversi dall’uomo.
“La proteina Spike, per la sua capacità di legarsi alle cellule dell’organismo ospite, determina quali e quante specie animali possono essere infettate dal virus. Ora: la variante Omicron ha accumulato il maggior numero di mutazioni nella proteina Spike tra gli oltre 6 milioni di varianti del Sars-CoV-2 che sono state sequenziate e note per essersi evolute nell’uomo. Questa particolarità di Omicron, l’alto numero di mutazioni, potrebbe spiegarsi facilmente se il progenitore di Omicron fosse passato dagli umani a una specie non umana, perché questo “salto” avrebbe richiesto un notevole numero di mutazioni affinché la Spike si adattasse alla nuova specie”.
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E perché proprio i topi?
“Le mutazioni nella proteina Spike della variante Omicron si sovrappongono in modo significativo con le mutazioni del Sars-CoV-2 che sappiamo – per studi precedenti – promuovere l’adattamento del virus ai topi. Nel nostro studio noi abbiamo identificato anche le mutazioni della proteina Spike nelle varianti del Sars-CoV-2 isolate in 17 altre specie animali – tra cui gatti, cani, cervi e visoni – oltre alle varianti trovate nei pazienti umani con infezione cronica. E in nessuno di questi casi abbiamo trovato lo stesso livello di significatività statistica che abbiamo trovato per le mutazioni caratteristiche del virus quando infetta i topi”.
Ci sono mutazioni specifiche, nella variante Omicron, che corroborano l’idea di una sua origine nei topi?
“Diverse mutazioni nella proteina Spike di Omicron, specialmente nella regione essenziale per il contatto con le cellule da infettare, rafforzano la capacità del virus di legarsi ai recettori ACE2 dei topi. In particolare due mutazioni note come Q493R e Q498R. Sono mutazioni per nulla comuni nei pazienti umani infettati da varianti non-Omicron del Sars-CoV-2: si sono viste solo nello 0.002% dei casi”.
Oltre a quanto già spiegato, cosa vi fa scartare l’ipotesi di una origine esclusivamente umana della variante Omicron?
“È implausibile che il progenitore di Omicron si sia evoluto negli umani, come ad esempio in un paziente immunocompromesso: nessuna delle 6 milioni di varianti, comprese quelle che si sono evolute nei pazienti con infezione cronica, è stata soggetta alla stessa forte selezione darwiniana sulla proteina Spike che si vede nel progenitore di Omicron: una selezione che si spiega con la necessità di adattarsi a un’altra specie. Inoltre lo spettro delle 45 mutazioni puntiformi di Omicron è significativamente diverso dallo spettro di mutazioni che ci aspetteremmo in un virus che si evolve in ospiti umani. Un esempio: quando i virus RNA evolvono negli umani, nelle mutazioni che si susseguono si vede un tasso più alto di mutazioni dalla base azotata “guanina” alla base “uracile”, piuttosto che mutazioni dalla base “citosina” alla base “adenina”. E questa caratteristica – tipica dell’evoluzione negli umani – non si vede nelle mutazioni acquisite dal progenitore di Omicron”.
A cosa può servirci sapere che Omicron si è originata nei topi?
“Il nostro studio enfatizza la necessità di una sorveglianza virale – e di sequenziamenti – negli animali, soprattutto in quelli più a contatto con l’uomo. Inoltre tenere traccia della regione della proteina Spike presente nelle varianti isolate negli animali, e calcolare al computer la loro potenzialità di infettare le cellule umane, può aiutarci a prevenire future diffusioni di nuove varianti del Sars-CoV-2”.