ROMA – Nè candidato, nè kingmaker. Di più: la parabola di Silvio Berlusconi finisce, per ora, in una stanza d’ospedale. Al San Raffaele, dove l’ex premier è stato ricoverato ieri mattina, per quelli che il suo medico di fiducia, Alberto Zangrillo, definisce “controlli programmati” che seguono, peraltro, altri già fatti nei giorni scorsi. Dovrebbe uscire già nelle prossime ore, il Cavaliere, ma non sta bene, è provato anche dal punto di vista psicologico.
Sa che, con l’uscita forzata dalla corsa per il Quirinale, ha probabilmente sancito l’epilogo della carriera politica. Non voleva farlo: “Posso certificare che ho i numeri per un’elezione al quarto scrutinio”, ha detto fino all’ultimo. Prima di accettare la tesi per cui la caccia al singolo votante, non sostenuta da un accordo fra i leader, avrebbe avuto l’effetto di una bomba.
Ma ora Berlusconi non ha la voglia, nè l’energia, per seguire in un altro ruolo la partita di cui voleva essere protagonista. Ieri, in clinica, l’ha raggiunto Marcello Dell’Utri: una visita che simboleggia l’inizio e la fine di un viaggio. E ha chiamato Matteo Salvini, che fa sapere di essersi messo d’accordo con Berlusconi per proporre “una candidatura di alto profilo”: Berlusconi fa il nome di Maria Elisabetta Casellati e un altro, quello di un uomo.
Nel frattempo, il mesto commiato di Berlusconi provoca uno choc dentro Forza Italia. E scatena un malessere rimasto sotto traccia in queste ore ma pronto a esplodere oggi, nella riunione dei Grandi elettori: i ministri non hanno preso affatto bene la gestione della vicenda Quirinale da parte del coordinatore Antonio Tajani e di quanti, racconta uno di loro, “hanno spinto avanti Berlusconi, incoraggiandolo fino all’ultimo e nei fatti provocando un addio che, anche nelle modalità, non si meritava”.
Di più, i ministri – che già nell’autunno scorso misero nel mirino il cerchio magico del Cavaliere – non hanno apprezzato il fatto che Tajani, nella riunione fra big forzisti di sabato, non abbia fatto cenno del documento, già pronto, con cui Licia Ronzulli ha successivamente comunicato agli alleati il “passo di lato”. Il vicecapogruppo Gianfranco Rotondi, primo tifoso di Berlusconi al Colle, non ha peli sulla lingua: “Non si può andare in guerra avendo in tasca anche il certificato di resa”.
E Vittorio Sgarbi, alfiere dell'”operazione scoiattolo”, sbotta: “Solo io ho iniziato ad aiutare Silvio a cercare i voti, nessun altro lo ha fatto veramente…”. È inutile girarci attorno: il vero problema, ora, è il futuro del partito con Berlusconi ai margini. Ma anche, nell’immediato, la gestione delle trattative per il Quirinale affidate a un coordinatore oggetto di critiche. È insomma il caos, attorno al Cavaliere che abbandona il suo sogno.
Se Berlusconi continua a dire no a Mario Draghi al Colle, Gianni Letta non smette invece di lavorare per quell’obiettivo. E in quest’ottica ha proposto a Pierferdinando Casini, uno dei candidati per il Quirinale, di farsi da parte in cambio di un ruolo da premier. L’ex presidente della Camera ha cortesemente declinato l’invito, chiedendo però lumi ad alcuni amici di sempre del Cavaliere. I quali hanno smentito che Letta avesse questo mandato. Un cortocircuito che è lo specchio dei tempi.