Colle, si parte senza bussola. Ue e mercati temono la palude

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ROMA – Il Covid e il governo di larghe intese nell’ultimo anno avevano nascosto l’affanno che toglie il fiato al sistema politico del nostro Paese. Le ultime 48 ore vissute pericolosamente alla vigilia dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica hanno invece sollevato il velo. E le difficoltà dei partiti sono emerse con tutte le loro contraddizioni.

Oggi, dunque, come se negli ultimi sei mesi non si fosse mai parlato del successore di Sergio Mattarella, il Parlamento si ritrova a votare a scrutinio segreto senza una bussola. Non si tratta solo di uno stallo ma, per il momento, anche di un’assenza di prospettiva. Che sta provocando allarme e agitazione. Non solo in Italia. Ma in Europa e sui mercati finanziari. Perché un’Italia paralizzata per troppo tempo sotto il precario tabernacolo di un accordo sul Colle, preoccupa tutti. L’idea che il Paese resti impantanato nella palude è in un incubo che turba i sonni a Roma, a Bruxelles e nelle principali piazze finanziarie.

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Resta il fatto che oggi alle 15 le forze politiche si ritroveranno a Montecitorio a fari spenti. In attesa di un clic che accenda una luce. E che difficilmente ci sarà prima di mercoledì o giovedì. Il passo indietro di Silvio Berlusconi – prevedibile e previsto – sembra aver complicato la situazione anziché facilitarla. Per un semplice motivo: i partiti si sono dovuti confrontare con la realtà e con le responsabilità. L’assetto di questo Parlamento col gruppo maggioritario – l’M5S – balcanizzato, con il centrodestra dilaniato dalla lotta intestina tra Meloni e Salvini, con Forza Italia alle prese con un leader virtuale, e con il Pd che deve prendere atto di non poter più dare le carte come è accaduto nelle ultime quattro corse verso il Quirinale, appare dunque incapace di scegliere un candidato. Di certo non uno che faccia riferimento ad una sola parte.

Il centrodestra sfoglia i petali di una rosa composta di nomi suoi. L’ex presidente del Senato, Marcello Pera, quella attuale Elisabetta Casellati, l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ma sono opzioni che oggi e nei prossimi giorni avranno il “no” del centrosinistra. Così come i “giallorossi” non possono formulare le loro preferenze per lo stesso motivo. Nessuna figura è in grado di vincere se non riesce a raccogliere i suffragi di entrambi i poli. È la realtà dei numeri, la disperazione delle forze politiche. Anzi, Pd e M5S hanno dovuto pure rinunciare al candidato di bandiera, l’ex ministro e fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, per non bruciarlo ma anche per non offendere una personalità che non accetta di essere utilizzata come un autobus.

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Probabilmente, dunque, oggi pomeriggio vedremo un mare di schede bianche. Una situazione che di fatto riporta indietro le lancette dell’orologio a qualche giorno fa. Non c’è un regista, non c’è un gruppo prevalente. Sullo sfondo si stagliano le personalità che possono accontentare o fare meno dispiacere al maggior numero di parlamentari. In pista resta l’attuale presidente del consiglio, Mario Draghi, e il capo dello Stato uscente, Sergio Mattarella. E l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini. Il cui curriculum potrebbe essere, alla fine, accolto da una maggioranza trasversale.

Per tutti, però, c’è anche un lato debole. Per il premier, la necessità di trovare un sostituto. E di garantire che non si tornerà al voto prima del 2023. Per ragioni effettive come la realizzazione del Pnrr e la lotta al Covid, e per esigenze ben più prosaiche: molti parlamentari sanno che non torneranno mai a sedere sul loro attuale scranno. Per timori concreti: chi altri può tenere insieme una maggioranza a dir poco composita e multicolore se non l’ex presidente della Bce? E per paure autoprodotte: da una parte il protagonismo di Salvini che aspira a rioccupare il ministero degli Interni e dall’altra i sospetti verso l’ipotesi di un accompagnamento della Lega all’opposizione con annessa rinascita di un esecutivo “giallorosso” a guida democratica.

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Anche per questo grillini, leghisti e forzisti sono stati in prima linea nel sostenere che deve rimanere a Palazzo Chigi. Così come un gran numero di cosiddetti peones, frenano perché colgono dietro ogni mossa il desiderio di chi – nel centrodisnistra e nel centrodestra – aspira alle elezioni anticipate per incassare la crescita nei sondaggi e per sperare di frenare la caduta.

Sull’attuale inquilino del Quirinale, invece, pesa la sua volontà contraria al bis e le perplessità di FdI e del Carroccio (anche se Salvini ha ridimensionato di molto le sue critiche). Su Casini, pende la remora di chi non lo considera dalla sua parte. A destra e a sinistra. Con Berlusconi che ricorda le liti ai tempi del Pdl e Salvini che avverte la difficoltà di giustificare con i suoi elettori il voto a favore di un democristiano della Prima Repubblica. Ognuno ha una controindicazione, ma i rapporti di forza non consentono di selezionare candidature per così dire, esendifetti.

Semmai il difetto più grande e feroce è proprio lo stallo. I tempi lunghi non sono per questa stagione. I mercati hanno già messo sotto osservazione il nostro Paese. I brividi che corrono lungo la schiena dei protagonisti più avveduti, sono provocati dalla consapevolezza che se la partita andrà troppo per le lunghe, le ripercussioni sulle borse e soprattutto sui tassi di interesse potrebbero essere cocenti.

Lo spread con i Bund tedeschi può tornare ad essere un fattore della politica italiana. Esattamente come può tornare ad esserlo il giudizio che l’Europa darà di noi. Martedì scorso un autorevole commissario europeo di un paese nel nord Europa, incrociando nel Parlamento di Strasburgo un eurodeputato dell’M5S gli ha chiesto: “Quanto ci mettete a eleggere il nuovo presidente? Una settimana? Siete pazzi? Dovete essere veloci, non potere stare fermi. E scegliere bene”.

La corsa al Colle, in effetti, ha bloccato quasi ogni attività. Venerdì scorso, in occasione del Consiglio dei ministri, è stata vissuta plasticamente la scena di quel che potrebbe accadere e che non dovrebbe accadere. Il decreto in discussione è stato riempito di voci, richieste, nomine dei vari ministeri come se la situazione fosse sull’orlo del precipizio. E’ esattamente ciò che i mercati da cui dipendono gli acquisti dei nostri titoli di Stato e Bruxelles non possono accettare.

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