Corsa al Colle, da sinistra a destra l’onda lunga che ancora spinge il Mattarella-bis

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ROMA –  “Se i parlamentari venissero lasciati liberi, se potessero scegliere senza vincoli di appartenenza o senza indicazioni dei gruppi, eleggerebbero a larghissima maggioranza Sergio Mattarella. E come seconda opzione andrebbero su Pier Ferdinando Casini“. Clemente Mastella è un conoscitore delle aule di Camera e Senato. Soprattutto ne coglie gli umori. Quelli più profondi. Non è più deputato, nè senatore ma da lunedì si è trasferito in pianta stabile a Montecitorio. Sa di cosa parla.

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E in effetti basta fare un giro per il Transatlantico – il corridoio antistante l’aula dove si votano i candidati al Quirinale – per capire che la descrizione fatta dal sindaco di Benevento non è lontana dalla realtà. Ci sono alcuni gruppi che in blocco hanno dichiarato apertamente questa preferenza come il Movimento 5Stelle.

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Ce ne sono altri – a partire dal Pd – che in quel caso stapperebbero vagoni di bottiglie di champagne. E altri – soprattutto dentro Forza Italia, nel blocco centrista di Italia Viva e Coraggio Italia ma anche nella Lega “non salviniana” – che iniziano a vedere questa soluzione come una delle poche che possa fare uscire la politica e il Parlamento dal cul de sac in cui si è infilato in questi giorni.

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I segnali in questo senso sono partiti da un paio di giorni. E ieri, al quarto scrutinio, è stato evidente a tutti. Il presidente della Repubblica in carica ha ricevuto 166 preferenze in un bacino di votanti ridotto del 40 per cento vista la decisione del dentrodestra di astenersi. “Se avessimo preso le schede – sospira un ministro di Forza Italia – quei voti sarebbero stati almeno il doppio”.

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E’ anche evidente che al momento si tratta di iniziative individuali. Non esiste uno disegno preciso per dare vita a un bis. E soprattutto lo stesso Mattarella si tiene lontanissimo da qualsiasi gioco. Da lunedì scorso, ossia da quando l’Assemblea congiunta è diventata seggio elettorale, il capo dello Stato si è chiuso in una sorta di silenzio assoluto. Vuole evitare qualsiasi forma di interferenza, anche involontaria. Non intende dare adito a possibili interpretazioni di un qualche suo atto o parola.

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L’ipotesi di una rielezione, però, vive di una energia propria. Che, appunto, viene “dal basso”. Non è frutto di una analisi dei gruppi dirigenti. E il sentimento della base parlamentare. Di quelli che vengono chiamati “peones”. Che in questa legislatura, però, sono tanti. Basti pensare al gigantesco e incontrollabile gruppo misto.

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“Bisogna capire – dice ad esempio Osvaldo Napoli, ex forzista ora passato a Coraggio Italia – che Mattarella ha più voti di tutti. Basta che uno lo candidi e su di lui arriva una valanga di schede”. Certo, l’incertezza di questa fase, la confusione di chi sta gestendo la partita e la rincorsa al candidato eccentrico ormai quotidiana se non oraria da parte di Matteo Salvini, dirotta l’attenzione di chi subisce le scelte “dall’alto” verso l’inquilino del Colle. E così il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, presente a Roma in qualità di “grande elettore”, ieri si è lasciato andare con un amico: “La soluzione migliore è Draghi, ma Mattarella è di certo meglio del caos”.

“L’unico a cui qui dentro tutti vogliono bene – spiega senza giri di parole il grillino Primo Di Nicola – è Mattarella. Del Movimento lo sapete. Ma se chiedete a tutti gli altri gruppi, questo approccio è diffusissimo. Anzi straripante”. Tra i Democratici nessuno ne parla esplicitamente. Il timore è che qualsiasi cenno da parte del Pd equivalga a bruciare la migliore exit strategy. “Se ci dicono Mattarella – spalanca le braccia il dem Francesco Boccia – noi andiamo di corsa”.

“Una volta che Silvio Berlusconi ha ritirato la sua candidatura – ammette poi il fozista Andrea Ruggeri – allora tanto vale lasciare tutto com’è”.
In questo schema, poi, da ieri si inserito un altro attore. Che in Italia non può mai essere sottovalutato. Il Vaticano. O meglio, nel caso specifico i Vescovi italiani. Il Consiglio permanente della Cei ha diffuso una nota ufficiale che sembra un esplicito invito al “bis”. “L’auspicio è che il Parlamento sappia cogliere il desiderio di unità espresso dal Paese. L’esempio di Sergio Mattarella, come uomo e statista, è un punto di riferimento nelle scelte che devono essere compiute alla luce della Costituzione”.

Ma anche a Bruxelles iniziano a seguire con allarme il protrarsi delle votazioni. Il ragionamento che viene fatto nelle sedi informali della Commissione è piuttosto semplice: l’Italia aveva individuato un “dream team” composto da Draghi e Mattarella. Perché cambiarlo? E soprattutto: perché correre il rischio di perderli entrambi? Considerazioni che stanno cominciando a fare breccia tra le valutazioni dei parlamentari. E che potrebbero diventare un elemento di giudizio anche sui mercati finanziari.

Insomma la candidatura “dal basso” è ormai un fattore con cui fare i conti. Ricordando che Giorgio Napolitano, quando venne rieletto nel 2013 dopo il siluramento a ripetizione delle carte (Prodi e Marini) messe sul tavolo da Pierluigi Bersani, ottenne 738 voti su 1007 grandi elettori. Il 73,2 per cento. Non certo la totalità

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