Se a sinistra ancora brucia la ferita dei 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodi (nel 2013!), quei 70 voti che hanno inchiodato a terra il volo di Elisabetta Casellati saranno ricordati come la fine del centrodestra per come lo abbiamo conosciuto. Siamo entrati in una fase di accelerazione e nessun esito a questo punto è da escludere.
A quali aree o partiti appartengono i grandi elettori che hanno scelto di affossare la presidente del Senato fermandola all’umiliante quota 382? Rispondere non è facile, ma qualche credibile congettura può essere avanzata. Se eletta Casellati infatti si sarebbe portata dietro la rottura della maggioranza e, probabilmente, una crisi del governo Draghi. Naturale immaginare che i sostenitori del presidente del Consiglio avranno scelto in base anche alle conseguenze attese da una eventuale vittoria dell’avvocatessa rodigina. E quindi accendiamo un faro sull’ala governativa di Forza Italia, l’area moderata della Lega, i centristi. A questi si sono probabilmente aggiunti quanti, nel gruppo Misto, temono le elezioni anticipate e vedono come un male da evitare ogni forzatura che possa far saltare il quadro politico. Alcuni voti poi hanno chiaramente una marcatura politica precisa: 8 schede a Berlusconi e 7 a Tajani non possono che venire da Forza Italia, come sfregio ulteriore alla Casellati, che non ha mai goduto di grandi simpatie nel partito.
La lezione politica più importante di questa débâcle è quindi che il centrodestra non solo non è autosufficiente, ma non è neppure “compatto” e “unito” al suo interno come hanno voluto far credere finora i suoi leader. Si riparte dalla ricerca di un dialogo necessario con gli avversari, perché non c’è spazio per candidature di rottura. La seconda lezione è che i voti di Italia Viva non si sommano a quelli del centrodestra, come in molti davano quasi per scontato alla vigilia della sfida per il Quirinale. Anzi, a Matteo Renzi è stato persino offerto il posto che sarebbe stato lasciato libero da Casellati, ma l’interessato ha rifiutato anche ruvidamente. Al contrario, ha preso a giocare di sponda nelle ultime 48 ore proprio con il segretario del Pd, lasciando da parte antichi rancori.
La terza lezione, severa, arriva per Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio ha provato invano per cinque giorni a intestarsi una regia solitaria dell’operazione Quirinale, ha girato come una trottola, ha sparato nomi su nomi, fatto decine di telefonate e incontri, ma ha fallito nel suo intento. Non si è mostrato capace di dialogare con il centrosinistra e nemmeno di tenere compatta la coalizione, che non gli riconosce più il ruolo di leader. Il boccino da oggi pomeriggio passa ad altri.
Infine, contano ancora molto i voti (46) per Mattarella, ancor di più perché oggi sono mancati i grillini. Sono quarantasei voti quindi da ricondursi all’area di centrodestra e al Misto. Prosegue questa spinta parlamentare dal basso per chiedere al presidente uscente di restare al suo posto.
Corsa al Colle, da sinistra a destra l’onda lunga che ancora spinge il Mattarella-bis
di Claudio Tito 27 Gennaio 2022
A questo punto non restano molte altre opzioni, diciamo che si sono ridotte a tre: Casini, Draghi o Mattarella. Se la destra dovesse continuare a opporsi all’ex presidente della Camera, allora la candidatura di Draghi potrebbe essere messa subito sul tavolo. Magari già da questa sera.