ROMA – Questione di giorni, poi arriverà la resa dei conti che potenzialmente può portare ovunque, anche – nel peggiore dei casi – alla scissione più dolorosa di sempre. La chiedono tutti i protagonisti in campo: da una parte c’è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, dall’altro quello di Luigi Di Maio. In mezzo ci sono deputati e senatori che non stanno né di qua né di là ma che in questa elezione presidenziale si sono mossi in autonomia, e in anticipo, nella direzione giusta: quella che premeva per la rielezione di Sergio Mattarella.
“Ci sarà un necessario chiarimento”, promette l’ex presidente del Consiglio. Parla nel tardo pomeriggio con accanto i capigruppo Mariolina Castellone (Senato) e Davide Crippa (Camera), rivendica di aver vinto su tutta la linea, o quasi: Mario Draghi è rimasto a Chigi, la maggioranza non si è spaccata, al Colle c’è andato un “alto profilo”. Non però una donna, “su questo – ammette – non siamo riusciti”. Ma perde la proverbiale pacatezza quando si parla della sua presunta intelligenza con il nemico, con Matteo Salvini, durante le trattative. “Ho letto un sacco di fesserie, di calunnie, non ho mai tramato sottobanco e il nome di Elisabetta Belloni era stato accettato anche da Pd e Leu”.
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Se non fosse che quelle derubricate a “fesserie” e “calunnie” sono state alimentate e temute anche da una parte del suo partito. A Conte ha fatto malissimo la sconfessione pubblica, plateale, di venerdì sera a opera di Di Maio che di fatto ha dato il colpo di grazia alla carta Belloni; quel suo “non si possono bruciare i nomi così” proprio mentre era stato arruolato Beppe Grillo via Twitter e si era mossa la comunicazione social del Movimento per promuovere un presidente donna. È stata considerata una dichiarazione di guerra, un contropotere interno che ha sabotato la linea.
“Alcune leadership hanno fallito, anche nel M5S ora serve una riflessione politica interna”, replica nel giro di qualche ora il ministro degli Esteri che invece tifava per Draghi al Colle e che poi dal terzo scrutinio si era spostato sul Mattarella bis assieme a un gruppo di grandi elettori a lui più vicini.
La guerra fredda nei 5 Stelle va avanti ormai da mesi. Un conflitto silente fatto di indiscrezioni, retroscena, spin contrapposti. Con Conte sospettato di voler far cadere il governo e andare elezioni, Di Maio invece di tramare per se stesso, magari puntando a fare il premier. E adesso? Potrebbe andare in scena una sorta di processo al ministro e ai suoi fedelissimi; ma pure un contro-processo a Conte e ai cinque vice da un pezzo dei gruppi, con la richiesta di azzerare tutto e “commissariare” l’operato del presidente.
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C’è anche chi lavora, sottotraccia, per un epilogo mediano: Conte che va a fare il super ministro e rimane una sorta di padre nobile e Di Maio che si riprende in mano il partito, ipotesi che appare fantascientifica ma del resto qualche settimana fa lo sembrava pure la rielezione di Mattarella. Al termine di questa settimana poi acquisiscono un grande peso politico il gruppo di senatori (Primo Di Nicola, Vincenzo Presutto, Giuseppe Auddino, Antonella Campagna, Simona Nocerino) che in solitaria avevano promosso la soluzione Mattarella subito dopo Capodanno, all’inizio tollerati a fatica dai vertici e oggi invece vincitori morali.
“Abbiamo vissuto quattro fasi, ultimamente, nel rapporto col resto dei colleghi del Movimento: non saluto con sdegno, non saluto, saluto e infine saluto con rispetto, da oggi”, scherza ma neanche troppo Auddino. Né contiani né dimaiani, terzisti, hanno però dimostrato di saper ingaggiare una battaglia politica. Di certo, perlomeno nel rapporto con Di Maio, Conte è determinato ad andare fino in fondo, anche a costo di una rottura definitiva. “Ricordiamo che fuori dai 5 Stelle c’è Alessandro Di Battista – sottolinea una fonte interna al partito – e con lui il presidente ha un buon rapporto: a quel punto, senza Di Maio e con “Dibba”, ci sarebbe una svolta: un Movimento più radicale che non si fa stritolare dai riti di palazzo”