Ucraina-Russia, quando Salvini lodava le mosse di Putin su Donbass e Crimea

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Lunedì Vladimir Putin ha deciso di riconoscere le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Matteo Salvini, invece, lo aveva già fatto a colpi di tweet nel lontano 2014: “In 2 Repubbliche di Est Ucraina vincono elezioni partiti filorussi. UE e USA contestano. Il voto è “libero” solo se piace a loro?!?”. Era il 3 novembre di otto anni fa, sullo sfondo della partita elettorale nel Donbass erano ancora visibili le ferite dei referendum sull’indipendenza indetti nel maggio dello stesso anno. L’ex presidente ucraino Poroshenko minacciava una reazione militare, mentre l’Unione europea si preparava a varare una nuova tranche di sanzioni contro i separatisti. Il voto accolto Salvini fu contestato a tutti i livelli: da Ue, Stati Uniti e Onu. “Un ostacolo alla pace”, lo definì l’Alto rappresentante della Politica estera Federica Mogherini. Il leader leghista, insieme alla Russia, rientrava tra le poche eccezioni. 

All’epoca dei fatti Salvini guidava un partito in fase di affermazione. Sedeva al parlamento europeo e non perdeva occasione per attaccare ogni decisione presa dall’Ue e diretta contro la Russia. Il no alle sanzioni erano un punto fermo, per il segretario. Da sempre considerate un danno all’economia italiana, oggi Salvini non le esclude del tutto: “L’ultima delle soluzioni possibili”. Dichiarazioni caute sì, ma che cozzano con le uscite filo-russe di un tempo. Il leader del Carroccio non ha mai nascosto le sue simpatie per il presidente russo. Anzi, lo seguì perfino quando tutto l’Occidente si schierò compatto contro l’annessione della Crimea. “La Lega difende il diritto di autodeterminazione dei popoli!”, scrisse su twitter. E ancora: “Mi domando: perché per Usa e Unione Europea l’INDIPENDENZA di Bosnia e Kosovo andava bene, e invece quella della Crimea no???”.

La macchina social del Carroccio era ancora in fase di rodaggio, la trasformazione sovranista non era compiuta al 100 per cento. La parola ‘Nord’ e il verde padania presenti all’interno del simbolo leghista erano la spia di una metamorfosi ideologica ancora in divenire. L’indole federalista a cui era ancorato il Carroccio di un tempo offrivano un buon pretesto per collegare le battaglie separatiste con quelle per l’indipendenza delle zone nell’est dell’Ucraina. “Un abbraccio ai PATRIOTI VENETI che lavorano per l’Indipendenza. Crimea, Veneto, Catalogna, Scozia: giusto che i Popoli decidano per sé”. 

Non è un caso che nel calderone Salvini abbia messo anche la penisola annessa dalla Russia nel 2014. Nello stesso anno, a pochi mesi dal referendum sull’indipendenza, e dalle sanzioni imposte dall’Ue, l’ex europarlamentare fu il protagonista di un tour durante il quale, dopo una serie di incontri avvenuti a Mosca, si recò di persona in Crimea per incontrare i vertici del governo locale. Quello non fu l’unico viaggio del segretario leghista. Anche nel 2016 Salvini si recò in terra russa. Qui, come disse nella didascalia di una foto postata su Instagram, il segretario incontrò il vicepremier della Crimea, il responsabile esteri del partito di Putin e alcuni parlamentari della Duma. “Sono orgoglioso di aiutare 50 imprenditori italiani a Mosca”, postò orgogliosamente sui social. Il pretesto dei viaggi moscoviti è sempre stato quella di favorire il commercio tra Italia e Russia. Da qui nasce il no categorico verso le sanzioni. La verità, però, è che tra Lega e il governo di Mosca esisteva una saldatura politica e ideologica che andava al di là dei semplici interessi sul made in Italy. Salvini lo ha dimostrato più volte, lanciando frasi di elogio nei confronti del presidente russo, spesso dipinto come un gigante al cospetto degli avversari politici italiani. “Sostituirei Renzi con Putin domani mattina!”, twittava nel 2015. Ora il governo delle larghe intese e la fiducia al governo Draghi lo pone a metà tra il silenzio e un timido supporto alle sanzioni, considerate l’extrema ratio.

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