Mentre i combattimenti proseguono con ferocia nel Donbass, due fronti paralleli alimentano le speranze di un dialogo. È intorno a questo doppio snodo che si stanno intrecciando gli approcci tra i contendenti, ancora lontani da un reale negoziato: un filo sottile a cui il “piano italiano” offre una traccia per tentare di trasformare i contatti nella prospettiva di un confronto più articolato.
Il primo punto è la sorte dei soldati ucraini usciti dall’acciaieria Azovstal obbedendo a un ordine del governo di Kiev. La riconsegna di questi uomini attraverso uno scambio di prigionieri è un argomento ricorrente negli interventi del presidente Zelensky. Adesso sono formalmente in mano alla Repubblica secessionista di Donetsk, che ieri ha ribadito l’intenzione di processarli per crimini di guerra, ma è chiaro che sarà il Cremlino a decidere il loro destino. E la loro salvezza sembra essere l’unico argomento a cuore dell’ala ucraina più dura, quella determinata a proseguire la lotta fino alla sconfitta della Russia. Ma sul campo la furia dell’artiglieria di Mosca continua a crescere, accanendosi su città come Lyman e Severodonetsk, dove le difese appaiono in difficoltà: il numero di vittime civili e i danni materiali sono sempre più pesanti, altro argomento sottolineato negli ultimi giorni da Zelensky nelle aperture verso la diplomazia.
Mosca apre al piano italiano. Kiev frena: no a concessioni sulla Crimea e il Donbass
di
Enrico Franceschini
La questione che però sta diventando centrale è quella dei porti del Mar Nero: il blocco navale impedisce l’esportazione di milioni di tonnellate di cereali, con il rischio di una crisi alimentare globale e del soffocamento dell’economia di Kiev. Per questo aumenta la spinta internazionale per la nascita di un corridoio sicuro che permetta ai mercantili di salpare da Odessa. Anche in questo caso, però, ci sono visioni diverse. I duri, come il numero uno dell’intelligence ucraina Kyrylo Budanov, vogliono missili anti-nave per scacciare la flotta russa e ieri nel summit di Washington è stato annunciato che la Danimarca fornirà gli Harpoon, sistemi con portata di 120 chilometri. Alla platea di Davos Zelensky invece ha detto che “bisogna usare tutti i canali diplomatici, perché da soli non possiamo lottare contro la Russia”. E ha precisato: “Noi parliamo con la Commissione europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Polonia e l’Onu e chiediamo loro di prendere misure per un corridoio per l’export del nostro grano”. Nessuno infatti crede che esista una soluzione militare: Mosca dispone di sottomarini, entrati in azione pure domenica, e di missili cruise in grado di bersagliare il traffico navale dalla Crimea. C’è poi la necessità di eliminare le mine galleggianti ma qualsiasi iniziativa occidentale in quelle acque porterebbe alle stelle i pericoli di escalation. L’unica strada è trattare con il Cremlino: anche la consegna dei missili Harpoon, che comunque richiederà almeno un mese, potrebbe essere soltanto una mossa deterrente per convincere i russi a cambiare linea.
Mario Draghi ieri nell’incontro con il premier bulgaro Kiril Petkov ha dichiarato che “bisogna scongiurare la crisi alimentare”. Sofia è uno dei tre membri della Nato che si affacciano sul Mar Nero: quello decisivo è la Turchia, l’economia più danneggiata dal blocco dei porti, con cui la Farnesina ha intensificato i contatti in vista del vertice bilaterale di inizio luglio. Ed è ad Ankara che si è interrotto l’unico tentativo di trattare. “I russi hanno bisogno di qualcuno: un partner fidato, un negoziatore, un facilitatore, un moderatore in grado di parlare sia con loro che con gli ucraini”, ha spiegato pochi giorni fa il consigliere diplomatico di Erdogan, Ibrahim Kalin: “Noi siamo stati in grado di mantenere questa posizione sin dall’inizio della guerra”. In questo scenario, i quattro punti chiave del piano presentato da Luigi Di Maio all’Onu offrono un perimetro per iniziare a discutere qualsiasi tregua, incluso il corridoio navale, mettendo sul piatto una riduzione graduale delle sanzioni in cambio di passi concreti russi. Mantengono saldo il principio dell’integrità territoriale ucraina: la Crimea, come ha fatto capire pure ieri Zelensky, potrebbe restare fuori dal tavolo. E concedono a Putin la prospettiva della conferenza per ridefinire gli equilibri tra potenze in Europa, condizione irrinunciabile per il Cremlino. Tutto però deve partire dal cessate il fuoco, che oggi appare l’aspetto più difficile: ma cento giorni di battaglia hanno logorato entrambi gli eserciti, infliggendo ferite spaventose al popolo ucraino, e nel giro di qualche settimana l’atteggiamento di Mosca e di Kiev potrebbe farsi più conciliante.