Lo straordinario ritorno degli Abba dopo 40 anni, in un concerto che fa discutere

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LONDRA – “Ma perché fanno queste cose, come visto per Frank Sinatra e Amy Winehouse? Non sono mica morti?”, ci dice Jarvis Cocker dei Pulp mentre beviamo insieme un bicchiere di prosecco, tra altri illustri ospiti. Come il re di Svezia Gustavo con regina consorte Silvia, Kylie Minogue, Kate Moss e Keira Knightley, tutti nel foyer della Abba Arena. Una sala da concerti costruita a Pudding Mill Lane, periferia est di Londra, soltanto per loro, gli Abba. Che ieri, giovedì 26 maggio, tra 3mila spettatori e vip in delirio, con pure il re Gustavo in piedi a ballare, sono tornati sul palco insieme dopo 42 anni, dopo quell’ultimo concerto in Giappone, per la première del nuovo attesissimo tour che parte oggi, 27 maggio.

Gli Abba sul red carpet della prima dello show a Londra 

Ma un momento. Sono davvero loro? Sì, perlomeno sul red carpet. Emozione. Eccoli, le quattro star svedesi e mondiali, di settuagenario splendore: Benny Andersson, 75 anni, con un mantello arlecchino. Le due cantanti ed ex mogli degli uomini della band, la 72enne Agnetha Fältskog e Anni-Frid Lyngstad, 76 anni e un bastone, entrambe vestite di bianco, capelli di platino. E poi il 77enne Björn Ulvaeus, avvolto in un’elegante giacca scura e RayBan. “Gli Abba non ci hanno mai lasciato, sono sempre stati dentro di noi”, spiega Fältskog ai giornalisti, “ora faccio fatica a parlare in inglese, ma è bellissimo essere tornati a Londra”. “Venite a vedere che cos’è questo show”, aggiunge Andersson, “io non riesco a spiegarlo. Ci ho provato per due anni e non ce l’ho fatta”. E Ulvaeus assicura: “Nessuno ha mai visto niente del genere”.

L’Abba Arena a Londra
Stufish Entertainment Architects 

Andiamo a vederlo, allora, questo primo concerto del tour Abba Voyage, che parte da Londra e che sarà, almeno a sentire i componenti, l’ultima collaborazione insieme della band, per sempre. In attesa che parta, sullo sfondo ci sono alberi fiabeschi, come in un’installazione di David Hockney. Sinora sono già stati venduti 380mila biglietti, dalle 100 sterline in su. Niente sponsor, solo una partership con l’azienda marina Oceanbird, molto attenta all’ambiente. Gli show, costati già 170 milioni di euro, dureranno almeno fino a novembre 2022. O, se tutto va bene ed è molto probabile, fino al 28 maggio 2023. Poi forse altri due anni e chissà, sperano gli organizzatori, magari anche in altre città del mondo, spacchettando e rimontando la “Abba Arena” come un mobiletto Ikea. Perché questo teatro è stato costruito apposta per loro, gli “Abbatars”. Ossia, gli avatar degli Abba.

Perché i cari, veri e vecchi Abba che abbiamo visto sul red carpet salutare il pubblico impazzito a fine première, non cantano e non canteranno dal palco di Londra. Del resto, due decenni fa, hanno rifiutato persino un miliardo di dollari degli americani per un pacchetto di cento live. Già. Ora, gli Abba, non ce la fanno fisicamente a esibirsi, la voce è calata, Agnetha ha sviluppato una tremenda paura matta di volare. Al contrario, i concerti di questo tour Abba Voyage sono un’esperienza immersiva, cosmogonica, quasi in 3d, e assolutamente straniante, tra luci stroboscopiche, raggi laser, schermi di 180 gradi, e appunto, i loro avatar. Le rughe dell’umanità mascherate da questi manichini distopici e infallibili. Ma alle 19.10 attenzione: emergono quattro sagome umbratili, dal sottosuolo. 

Abba Voyage – Photo by Johan Persson 

A esibirsi, per 95 minuti e 20 canzoni del loro incredibile repertorio, ci sono le rappresentazioni perfette e giovanili dei quattro svedesi, con la voce di oggi però, almeno nei monologhi pre-registrati. Una nordica sindrome di Peter Pan, per quelli che non sono ologrammi – no, troppo anacronistico – bensì avatar ultra-tech, ossia i loro sosia virtuali e trentenni, ancora più realistici di quelli di James Cameron, e pure vestiti di Dolce e Gabbana, Erevos Aether, Michael Schmidt e Manish Arora. “Ci piace giocare con le menti dei nostri fan”, ammette Ulvaeus poco prima del concerto, “e sono sicuro che piaccia anche a loro…”.

Gli avatar della band – ABBA Voyage – Photo by Johan Persson 

Meraviglia o “Abba-rrazione”? As you like it, come vi piace, direbbe Shakespeare. Questo è il metaverso applicato alla musica, l’eccentricità di Eurovision intrecciata al disco-pop, Zoom che ha contaminato i tour musicali. Vedere gli Abba ringiovaniti, che sembrano davvero essere sul palco è inquietante, mentre il solco tra realtà e fantasia si assottiglia sempre di più. Certo, la tecnologia di Voyage è incredibimente avanzata, roba anni luce avanti ai Gorillaz. Opera della Industrial Light & Magic, creatura di George Lucas e già vista per Guerre Stellari. Per raggiungere una resa così realistica sono state per esempio utilizzate 160 telecamere, con l’obiettivo di registrare e riprodurre ogni infinitesimale movimento virtuale di Andersson, Fältskog, Lyngstad e Ulvaeus. Mille persone hanno lavorato agli avatar, per un totale di 1 miliardo di ore di elaborazioni computerizzate, per mille effetti visivi complessivi e 500 luci coordinate nell’arena.

Gli avatar della band – Abba Voyage – Photo by Johan Persson 

Un’impresa tecnologica, un universo parallelo, una saga digitale. Che si apre con una chicca per i fan: The Visitors, 1981, con i 3mila spettatori che già iniziano a ballare in piedi dai sediolini. Un altro sussulto nostalgico, Hole In Your Soul, che rimanda proprio all’ultimo tour della band, nel 1979, quando è stata suonata l’ultima volta dal vivo. Poi si passa ai grandi, inebrianti classici, che infiammano l’arena: SOS, Knowing Me, Knowing You, Chiquitita, con sullo sfondo una accecante eclissi solare, come quella del loro ultimo album, Voyage appunto, uscito a sorpresa l’anno scorso. Poi tocca a Fernando, Mamma Mia, Does Your Mother Know, Eagle, Lay All Your Love on Me, Summer Night City, Voulez-Vous, When All is Said and Done, Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight) dalle scenografie glitterate, intervellate da dubbi cartoni sullo sfondo stile Re Leone e monologhi, anch’essi digitali, dei membri della band, come quello commovente dell’artificiale Anni-Frid in ricordo della nonna morta. 

ABBA Voyage – Photo by Johan Persson 

Questo jukebox dei sensi è inebriante non si ferma. Gli Abba sullo schermo in 3d sono sempre più sgargianti, e ci si abitua presto alla loro umanità digitale e nostalgica. Del resto, non balleremmo scatenati queste stesse canzoni in discoteca? Dunque lasciamoci andare per il gran finale: Thank You For the Music, Don’t Shut Me Down, I Still Have Faith in You, Waterloo, la topica Dancing Queen e il gran finale di The Winner Takes it All. Alla fine, i vincitori sono proprio gli Abba, che si prendono tutto, senza cantare davvero nemmeno una canzone. “Ma la loro musica, dopo mezzo secolo, è ancora attuale e potentissima, ed è questa la loro incredibile forza”, ci spiega il loro biografo Carl Magnus Palm che sta per uscire con una nuova opera tra qualche settimana, Abba at 50.

Abba Voyage – Photo by Johan Persson 

Forse abbiamo assistito al concerto e al tour del decennio per la sua rivoluzione tecnologica. Un live imperdibile per i fan degli Abba. Ma che fa discutere tutti gli altri e introduce l’annoso dilemma: è davvero questo il futuro dei concerti live? Critici inglesi come Neil McCornick e Will Hodgkinson non lo escludono. Ma, allo stesso tempo, fanno capire che la musica ne uscirebbe menomata in una delle sue dimensioni più vive e profiliche, dopo aver superato pure il Covid. Di certo, gli Abba hanno lasciato un segno indelebile, e di caratura ancora inspiegabile. A metà concerto, l’avatar di Benny Andersson, a un certo punto, ha pronunciato profetico al pubblico, tra una canzone e l’altra: “Essere o non essere. Questo non è più il problema”. 

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