ROMA – “Gli sta crollando lentamente il terreno sotto i piedi e allora si agita, ma più si agita e più affonda…”, scuote la testa un parlamentare del Carroccio. Il riferimento è a Matteo Salvini e alla sua idea poi ritirata di andarsene in Russia e in Turchia per intavolare una trattativa di pace, iniziativa non concordata con nessuno: né nel suo partito, né nel governo di cui pure la Lega fa parte. La freddezza dei suoi compagni di partito è sotto gli occhi di tutti, certificata dalle parole di Giancarlo Giorgetti. Il ministro dello Sviluppo economico è a Parma, all’assemblea annuale con la locale e potente Unione industriali – sempre a Parma Salvini c’era passato sabato causa campagna elettorale – e con linguaggio felpato fa ben capire che non era proprio il caso. “Ho già avuto modo di dirlo, sono proposte suggestive però bisogna muoversi di concerto con il governo. Sono questioni di portata mondiale, quindi ciascuno deve dare il suo contributo ma all’interno di percorsi che sono molto molto complicati”, le sue parole. Una bocciatura netta a bocca del suo ministro di peso. Il “nobile tentativo” di Salvini, da difesa d’ufficio affidata al capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, come detto si porta appresso un peccato originario: non esser stato condiviso con chi, nella Lega, su quei temi si confronta ogni giorno da anni. A partire dal vicesegretario Lorenzo Fontana, responsabile Esteri del partito; ma lo stesso è avvenuto con deputati e senatori delle commissioni Affari esteri. Nonostante le veline fatte filtrare a giornali ed agenzie firmate “fonti Lega” (“la Lega continua a lavorare ad ogni livello per un cessate il fuoco. Dialogare con Putin per fermare la guerra non è un diritto, ma dovrebbe essere un dovere di tutti”), sulla cosiddetta mancanza di lucidità del segretario federale nei gruppi ci si interroga ormai da tempo. I congressi locali da mesi vengono annunciati e mai convocati; l’ala governista incarnata dalla triade Giorgetti-Luca Zaia-Massimiliano Fedriga è pubblicamente silente ma in stato di agitazione ufficioso, né ad esempio nelle serrimane scorse è passato inosservato il mancato invito a Fedriga alla convention romana del partito; quel che rimane della vecchia base nordista è scontenta e comincia a parlarsi con altre realtà autonomiste. Come se non bastasse, dai territori arrivano altre cattive notizie, vedi l’addio al centrodestra di Paolo Damilano, che giusto qualche mese fa fu il candidato sindaco leghista a Torino. Condito da parole molto dure, di Damilano (“la Lega è in crisi di leadership”) e dei fedelissimi di Salvini che gli danno dell’ingrato. C’è il timore che l’uscita di Damilano non sia altro che un segnale mandato dal frote giorgettiano, ma chissà. La sostanza però è che la stella del “Capitano” si è offuscata e non da ieri, dal fu carro del vincitore si comincia a scendere e chi ci rimane studia delle exit strategy sul medio termine.
Affari, promesse e bluff del consulente di Salvini. “Capuano ha imbrogliato mezzo mondo”
di
Conchita Sannino
Poi ci sono gli alleati di governo ed è soprattutto il Pd ad alzare il livello dello scontro. “Si muove fuori da qualunque regola”, sostiene il segretario Enrico Letta. “Ci si chiede come sia possibile che un piano di pace di un partito italiano possa essere scritto da un avvocato che presta consulenza all’ambasciata russa, e chi sono i soggetti italiani che hanno fatto affari con Putin come viene affermato da chi sta organizzando la visita di Salvini a Mosca”, dicono Enrico Borghi e Lia Quartapelle. Il riferimento è ad Antonio Capuano, personaggio sconosciuto ai più nella stessa Lega. Da qui la richiesta che Salvini chiarisca “la natura della propria iniziativa agli italiani”. Certo il leader della Lega non farà nulla del genere e anzi, anche il solo aver buttato in pasto all’opinione pubblica la proposta del viaggio di pace è considerato un piccolo successo nel suo inner circle. Chissà quanto ormai agganciato alla realtà.