Ormai siamo così assuefatti allo stillicidio di combattimenti nel Donbass da rischiare di perdere di vista i momenti cruciali di questa guerra. E quello che sta accadendo a Severodonetsk potrebbe diventare un punto di svolta, tale da permettere a Putin di annunciare la fine dell’Operazione Militare Speciale – il nome imposto dal Cremlino all’invasione dell’Ucraina – e aprire una nuova fase del confronto con Kiev e con l’Occidente. La conquista di Severodonetsk infatti significherebbe l’occupazione della quasi totalità del Donbass ucraino. E la caduta della città sarebbe adesso molto vicina, forse imminente.
Dopo dieci giorni di fuoco ininterrotto di cannoni e razzi, ieri le avanguardie russe sono penetrate tra le case. I reparti speciali degli Spetsnaz sono avanzati da due direzioni, con il risultato di tagliare in due il centro abitato. Nel tardo pomeriggio gli incursori hanno diffuso sui social foto scattate nella piazza principale. Poi nella notte sono affluiti rinforzi e all’alba la situazione appare critica per i difensori. Un terzo della città, forse la metà, è già nelle mani degli attaccanti: una notizia confermata da entrambi gli schieramenti. La resistenza è comunque accanita, ma i soldati di Kiev sono provati da settimane di vita sotto le cannonate: anche i rifornimenti di munizioni sono limitati. Perché Severodonetsk ha alle spalle il grande fiume Severskij Donec, con un unico ponte ancora in funzione esposto al tiro dei mortati.
Il dilemma di Zelensky
Proprio questo vincolo geografico mette lo stato maggiore di Volodymyr Zelensky davanti a un dilemma: lottare casa per casa fino all’ultimo uomo oppure far ritirare le forze rimaste prima che la trappola si chiuda? I combattimenti mettono in pericolo almeno 19 mila dei centomila abitanti rimasti bloccati per l’avanzata russa. Persone che non sono riuscite o non hanno voluto abbandonare le loro abitazioni, e abituate fin dal 2014 a convivere con il conflitto del Donbass. Non immaginavano che Mosca avrebbe scatenato contro la città la più grande concentrazione di artiglieria mai vista dalla caduta di Berlino in poi: un volume mostruoso di razzi, cannonate e bombardamenti aerei. Il livello di distruzione è raccapricciante. Inoltre la periferia è costellata di impianti industriali delicatissimi, soprattutto chimici, che i russi vorrebbero catturare intatti: un solo proiettile contro queste infrastrutture potrebbe innescare una catastrofe ambientale.
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Soccorrere i difensori è difficile. In tutta la regione circostante gli invasori vanno avanti, lentamente ma con decisione: la linea del fronte è confusa, attraversata da boschi e lunghe distese un tempo coltivate a granturco, dove spesso le truppe scelte si infiltrano per colpire nelle retrovie. Il problema principale resta la supremazia degli obici russi, coordinati con droni e osservatori nascosti sul terreno, che finora hanno sventato ogni azione ucraina. Qualsiasi veicolo che si muove sull’autostrada tra Bakhmut e Lysychansk, fondamentale per i rifornimenti, viene preso di mira. Da Popasna, una località più a sud, miliziani ceceni, mercenari della Wagner e fanti di marina stanno muovendosi lungo più direttrici, con l’obiettivo di chiudere in una sacca l’intero schieramento ucraino: una manovra che però non pare concretizzabile.
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Lo snodo resta comunque Severodonetsk. Dal punto di vista militare, una ritirata dalla città sarebbe insignificante: una volta attraversato il fiume c’è subito Lysychansk, altrettanto grande e molto meglio difendibile. Il governo Zelensky però ha ben chiaro il valore politico della caduta di Severodonetsk, che restituirebbe alle repubbliche secessioniste di Lugansk e Donetsk la quasi totalità dei territori rivendicati dal 2014: un risultato strategico, che consegnerebbe al Cremlino un successo da propagandare.
Aspettando le armi occidentali
Quello che sta accadendo non può condizionare i rapporti di forza tra gli eserciti. Kiev sta ricevendo quantità enormi di nuove armi dall’Occidente: ha però bisogno di tempo per addestrare gli uomini e trasformare reclute in combattenti, in grado di usare questi mezzi al fronte. Almeno tre brigate con tank, blindati e semoventi saranno pronte entro un mese. Mosca invece sembra avere gettato nella mischia le ultime riserve qualificate, indirizzandole verso l’unico obiettivo che possa essere presentato come una vittoria: la riconquista del Donbass. La situazione sul campo, una volta caduta Severodonetsk, potrebbe però generare le premesse per avviare i colloqui e cercare una tregua. Gli ucraini devono riuscire a esportare il grano bloccato nei porti, il cardine della loro economia; Mosca ha necessità di riprendere fiato e placare le critiche crescenti sulla gestione della campagna. Ci sono le condizioni perché quello che accadrà nelle prossime ore determini la fase futura del conflitto, aprendo un varco per passare dalle armi alla diplomazia.