Salvini e Capuano, il blitz del 19 maggio all’ ambasciata russa per scavalcare Draghi

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Almeno quattro dialoghi con l’ambasciatore russo. “Sì. questa è stata la sequenza, più o meno, l’abbiamo costruita poco a poco”, conferma l’avvocato Antonio Capuano. Ora torna la memoria fin nei dettagli: che non possono non risultare indigesti, per il premier Draghi e per l’intelligence italiana. Per quattro volte Matteo Salvini, con il suo consulente di Frattaminore diventato uomo d’affari con sponde in Russia e dedito al fantomatico “Piano di pace” versante Putin, si incontrano con il numero uno Sergej Razov. Dalla cena del primo marzo, a Villa Abamelek, fino al 19 maggio, cruciale snodo.

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La progressiva “operazione” procede per tappe non casuali, occhio alle date che recano un peso. Il primo rendez-vouz cade nel giorno in cui il presidente del Consiglio dice alle Camere: “Non ci volteremo dall’altra parte”, l’invasione della Russia è avvenuta da cento ore. L’ultimo, il più importante, nell’ottantacinquesimo giorno del conflitto, avviene dopo che il capo del governo ha scandito in Senato: “Dobbiamo portare subito Mosca al tavolo dei negoziati”. E sebbene Draghi ribadisca che la linea degli aiuti militari non cambia, che l’esecutivo “continuerà a muoversi nel solco di questa risoluzione”, l’immagine del premier aperto al dialogo per un auspicabile cessate il fuoco viene subito e riservatamente “esposta” come segnale positivo. Un terreno su cui costruire il Piano. Tutto avviene all’oscuro delle nostre diplomazie e del vertice di Palazzo Chigi. Che ieri, non a caso, risponde sull’argomento Salvini con poche gelide battute. Draghi, da Bruxelles, si limita a rimettere in ordine i fondamentali, chiama alla “trasparenza”. “Il governo è fermamente collocato nell’Unione europea e nel rapporto storico transatlantico. Sono stato chiarissimo su questo”. Insomma: non ci facciamo “spostare da queste cose. “Non voglio entrare nei rapporti che i membri della maggioranza possono avere – sottolinea il premier – ma nella mia audizione al Copasir ho solo raccomandato che è importante siano trasparenti. Questo è quanto”. Mentre il Copasir annuncia di aver avviato “le usuali procedure informative previste” sul misterioso attivismo dell’ex deputato di Fi “nei confronti di alcune rappresentanze diplomatiche presenti nel nostro Paese su temi inerenti la sicurezza nazionale”. Capuano, dal suo canto, dice d’essere “pronto ad essere ascoltato, anche subito. Non ho nulla da nascondere”. Agli uffici di intelligence italiana non sfugge, però, che l’ambizioso avvocato con rapporti internazionali possa godere anche di qualche buona sponda sul versante turco. Ed è probabilmente anche grazie a questo link che il progetto può essere coltivato.

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E quindi, cosa accade quel 19 maggio? “Salvini aveva lavorato bene per il ritiro della candidatura di Mosca dall’Expo. C’era un dialogo rispettoso tra governo e leader. Quel giorno il discorso di Draghi è stato importante come immagine internazionale – ricostruisce l’avvocato Capuano con Repubblica – È chiaro che non ci fu nessun accordo, però ci recammo all’incontro qualche ora dopo il discorso del premier al Senato. È da quel momento che comincia concretamente a decollare l’idea di un Piano nei quattro punti, così come lo avevamo immaginato”. Il fatto che il presidente del Consiglio non ne fosse minimamente informato? “Ma lo avremmo fatto. Chiaro che, se lui non fosse stato d’accordo, non saremmo mai andati a Mosca. Ed chiaro che il Piano lo avremmo scritto a sei mani”. Come: sei mani? “Noi tre”. Lui, Draghi e Salvini. Un plot a metà tra fantascienza e farsa.
Eppure, l’ex deputato-carneade del 2001, ha coltivato con il leader della Lega il “progetto” della missione di Pace con Mosca, che doveva tramutarsi in viaggio domenica scorsa. “Poi, qualcuno fa uscire la notizia”. Sono bruciati. Alcuni sospettano che proprio dalle fila della Lega sia partito il siluro per colpirli alle spalle. L’ex perito di cui l’allora onorevoleNicola Cosentino (poi condannato per collusioni con i casalesi) diceva: “È uno che ha imbrogliato mezzo mondo”, non ci sta a ingoiare “offese”. “È vero, Cosentino ha sbagliato con me – ricorda Capuano – Ebbe ad usare nei miei confronti un termine che lo qualifica. Una terminologia evidentemente a lui comune, e da lui praticata, ma sconosciuta al sottoscritto per cultura. L’apostrafazione di Cosentino è una medaglia di cui vado fiero. Dimostra quanto io sia lontano, per cultura politica, da quel sistema”. Ma è roba vecchia, per un businessman internazionale, esperto di Piani di pace.

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