Ue, la rabbia delle capitali contro l’Ungheria: “Orbán ci sta ricattando, sulle sanzioni andiamo avanti da soli”

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BRUXELLES – “Adesso basta. O fa retromarcia oppure questo è il momento di approvare le sanzioni a 26 e tirare fuori l’Ungheria”. Quando la riunione del Coreper – il comitato dei 27 ambasciatori a Bruxelles – è finita, quasi tutti i Rappresentanti permanenti hanno iniziato a minacciare quello che fino a ieri sembrava impossibile: approvare il sesto pacchetto di sanzioni senza Orban. Introdurre di fatto il principio del voto a maggioranza e praticare una sorta di “super-cooperazione rafforzata”. Isolare il premier magiaro e spingerlo sull’orlo dell’espulsione.

Francia, Italia, Germania e Spagna i Paesi più duri. E i più decisi. Perché dietro l’ennesimo “no” di Budapest, non c’è più la giustificazione di perdere i rifornimenti energetici. Non sono più in gioco l’embargo al petrolio russo e gli interessi economici del Paese. Ma si tratta di un cedimento alla Russia e un ricatto alla Commissione europeo.

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L’irritazione ieri sera era dunque palpabile. Del resto, questo nuovo stop alle sanzioni contro la Russia sono davvero una figuraccia per l’Unione europea. E per i suoi leader che solo 24 ore prima avevano stretto un accordo nella sede più solenne: quella del Consiglio europeo. Uno schiaffo all’unità del Vecchio Continente. Un’altra pillola che paralizza l’Unione. E una sponda al Cremlino. “La pazienza adesso è finita”, è stato quindi il messaggio che l’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, ha trasmesso al suo ambasciatore a Bruxelles. Dello stesso tenore i segnali trasmessi da Roma e Berlino. La presidenza di turno francese proverà a ricucire il rapporto nella notte e stamattina. In giornata infatti il Coreper dovrebbe essere nuovamente convocato per stendere l’intesa raggiunta l’altro ieri dai capi di Stato e di Governo. Ma tutto sembra ormai sfibrato. Ad un tocco dallo strappo definitivo.

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Anche perché il sospetto di tutti gli altri 26 è che adesso Orban stia provocando la rottura e che voglia ricattare i vertici di Bruxelles. Non è un negoziato, ma una scelta politica. La difesa del Patriarca di Mosca Kirill è quasi una confessione. Il capo della Chiesa Ortodossa russa è notoriamente vicinissimo al Cremlino. I rapporti con Putin sono stretti e finanziariamente intensi. Basti pensare che Papa Francesco ha scelto di non incontrarlo proprio per questo motivo. Non vuole legittimarlo. Far dipendere allora il sesto pacchetto di sanzioni dalla cancellazione del suo nome dalla “lista nera” europea, viene considerato soltanto un messaggio esplicito alla presidenza russa. Un modo per far sapere che nell’Ue esiste una “quinta colonna” di Putin.

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Non solo. La rabbia del “blocco eurosolidale” è determinata da un altro sospetto: che Budapest stia bloccando le misure per ottenere dalla Commissione il via libera ai soldi del Pnrr. Ieri il disco verde è stato acceso per la Polonia che ha accolto le richieste di Bruxelles sul cosiddetto Stato di diritto. E in particolare sulla magistratura rispetto alla quale Varsavia si è impegnata ad approvare una riforma che ne garantisca l’indipendenza. Per Budapest, al contrario, i 7 miliardi a sua disposizione restano nel freezer. Nessuna assicurazione è arrivata, ad esempio, sui diritti Lgbt.

Tutto questo, quindi, sta diventando insopportabile per molti dei partner comunitari. Per la prima volta l’ipotesi di approvare il sesto pacchetto sanzionatorio senza l’Ungheria ha iniziato a configurarsi come qualcosa di più di un’opzione teorica. Del resto, il punto più delicato, l’embargo petrolifero, è stato superato martedì scorso al vertice. Il rischio, a questo punto, che qualcun altro si sfili è ridotto. Fino a due giorni fa il timore era che un patto a 26 sull’embargo petrolifero si riducesse a un mini-accordo a 20.

La tentazione, dunque, è forte. Orban subirebbe un isolamento pesantissimo. È già stato ripudiato dal Ppe. L’alleanza populista di Visegrad si è frantumata. Non firmare le sanzioni verrebbe interpretato come il primo passo per uscire o per essere espulso dall’Unione europea. E Budapest potrebbe ritrovarsi a diventare di nuovo un “vassallo” senza voce di Mosca. Come la Bielorussia.

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