L’epilogo che Letta e il Pd non volevano: così “un giorno di follia” affossa il governo Draghi

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Non è bastato recitare la parte dell’alleato più fedele. E neppure il forsennato pressing su Giuseppe Conte e i principali esponenti del M5S per convincerli a votare la fiducia. Il governo cade per mano di Salvini e Berlusconie questo no, non era l’epilogo che Enrico Letta si aspettava. E che manda in fumo giorni e giorni di estenuanti mediazioni, di contatti costanti e trame tessute per provare a mettere in sicurezza l’esecutivo di unità nazionale.

“In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l’Italia”, twitta quando ormai il sipario sta per calare. “Noi abbiamo messo tutto l’impegno possibile per evitarlo e sostenere il governo Draghi. Gli italiani dimostreranno nelle urne di essere più saggi dei loro rappresentanti”.

Chiuso fin dal mattino nel suo ufficio dell’Arel, a due passi da palazzo Madama, dopo una veloce riunione via Zoom con i ministri, il segretario del Pd si era convinto – ascoltando le comunicazioni del premier – che il Gabinetto Draghi avrebbe resistito alla tempesta scatenata il 14 luglio dai grillini, quando decisero di non votare il decreto Aiuti. Molto soddisfatto per le importanti concessioni fatte sull’agenda sociale, tali da far cambiare idea ai Cinquestelle, ma anche per le sberle assestate a Salvini. “Ora non potete più tirarvi indietro”, il senso del ragionamento subito recapitato ai contiani.

Ma l’ottimismo è durato poco. Dopo l’intervento del capogruppo leghista, chiaramente teso a rompere, la crisi prende improvvisamente un’altra piega: del tutto inattesa. E Letta decide di precipitarsi in Senato per cercare, almeno, di salvare il salvabile: recuperare l’avvocato alla causa, del governo e del campo largo. Mentre un senatore dem, attraversando di corsa il salone Garibaldi, avvertiva i colleghi: “Prepariamo la colla e i manifesti, inizia la campagna elettorale”.

Insieme a Roberto Speranza, il segretario del Pd raggiunge Giuseppe Conte negli uffici del gruppo. Già Dario Franceschini aveva provato a farlo ragionare, triangolando con Draghi e poi anche col ministro grillino D’Incà. Un confronto franco, che però non riesce a sciogliere i nodi, Conte continua a traccheggiare, la maggioranza dei suoi senatori è irremovibile.

La porta non si chiude del tutto, ma non è più solo quello il problema, adesso. Il fronte lega-forzista ha indurito la linea contro il premier, chiede l’esclusione dei Cinquestelle e un nuovo governo, e il Pd rimane spiazzato. La strada, dice Debora Serracchiani, si fa “molto stretta”. L’aria che si respira fra i dem sa di sgomento. “Sono dei pazzi – sussurra il senatore Franco Mirabelli – nessuno pensa al Paese, le sofferenze degli italiani sono rimaste fuori da questo palazzo”.

Le dichiarazioni di voto con l’annuncio che il centrodestra uscirà dall’aula, come pure il M5S, scrivono la parola fine sul governo Draghi. Ci ha provato fino all’ultimo il Pd a sorreggere il premier e la sua squadra di ministri. Non è stato sufficiente. E ora, dopo questa “giornata di follia”, tutto torna in alto mare: soprattutto l’alleanza con il M5S, che tanti nel Pd considerano i veri responsabili del draghicidio.

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