Tutta l’amarezza di Mattarella. Naufraga il patto, ora le elezioni

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Non è questa la fine che aveva immaginato. A tarda sera Sergio Mattarella non nasconde il suo dispiacere. Mario Draghi è ai saluti, congedato da un Parlamento in rivolta. L’Italia torna in bilico. Tramonta sul Colle, in questa sera d’estate di caldo feroce, una giornata politica tra le più drammatiche, punteggiata di ribalderie e colpi di scena. Il sodalizio tra Mattarella e Draghi, a cui larga parte della società civile e dell’Europa aveva guardato con rispetto e speranza, si è infranto. Questa mattina il premier salirà al Colle e si dimetterà. Si va a votare. Poi il Capo dello Stato metterà in moto la macchina dello scioglimento del Parlamento, sentiti i due presidenti delle Camere.

Non si devono superare i 70 giorni per le nuove elezioni. Si dovrebbe andare così a votare il 25 settembre o più probabilmente il 2 ottobre. La prima data è quella preferita dal Colle, perché garantirebbe una settimana in più per poi approvare la legge di Stabilità, i cui tempi di attuazione sarebbero strettissimi, visto che il nuovo governo dovrebbe entrare nella pienezza delle funzioni soltanto a novembre. Ma questa opzione si scontra col fatto che è la vigilia di una festività, il Capodanno ebraico. E quindi la data cerchiata in rosso è quella della prima domenica di ottobre. Il voto in autunno non si era mai visto nella storia della Repubblica. I partiti faranno la campagna elettorale in spiaggia. La destra esulta. Sente che questo è il suo momento.Giorgia Melonipunta a essere la prima premier donna in Italia.

La tabella di marcia di Mattarella

È l’epilogo di una legislatura dove tutto è stato triplo: tre governi, tre maggioranze diverse, tre crisi di governo. E adesso si rischia pure l’esercizio provvisorio. Perciò Mattarella vorrebbe anticipare i tempi. L’articolo 61 della Costituzione stabilisce che la prima riunione delle Camere, dopo il voto, ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni, quindi si arriverebbe a una data tra il 15 e 22 ottobre. Una volta eletti i Presidenti di Camera e Senato e formati i gruppi parlamentari il Quirinale aprirebbe le consultazioni. Ed è già novembre. Quindi questa è anche una corsa contro il tempo.Ma tra le complicanze di un epilogo che il Quirinale ha cercato di scongiurare in tutti i modi c’è il fatto che Draghi non è stato sfiduciato nemmeno al Senato. Ieri sera era ancora lì nel limbo di cinque giorni fa, quando Mattarella gli ha respinto le dimissioni. Nelle settimane che lo separano dal voto potrà svolgere solo gli atti urgenti, approvare decreti leggi, o quelli attuativi dei provvedimenti già approvati. E questo in un contesto di crisi energetica, inflazione, pandemia, guerra in Ucraina, e un Pnrr da completare: c’è una tranche di 19 miliardi da incassare. In tanti guarderanno all’Italia come a un luogo d’instabilità, dove le crisi sono così complicate che nemmeno gli interessati sono in grado di spiegarle a uno straniero. Che giornata. Mattarella l’ha seguita passo dopo passo. Dopo l’intervento mattutino di Draghi, trentasei minuti di discorso, ha capito che il clima era pessimo. Nessuno del resto si era fatto grandi illusioni alla vigilia. Poi, dopo il vertice di centrodestra, che ha sancito la sorprendente convergenza di Silvio Berlusconi sulla linea di Matteo Salvini, era chiaro che non c’erano più margini. Erano le 15 del pomeriggio e non c’era ancora uno straccio di accordo. Mattarella ha sentito i leader della maggioranza, ma dai colloqui con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ha avuto la riprova che non c’erano i numeri.

Il centrodestra vuole andare al voto

Respingendo giovedì scorso le dimissioni Mattarella aveva sperato in una ricomposizione del quadro. Era una mossa di chi conosce nel profondo la politica. La crisi andava consumata in Parlamento, cioè davanti al Paese: i partiti dovevano prendersi lì la loro responsabilità di fronte alla pubblica opinione. Questa dilazione aveva indotto Draghi a prendere in considerazione un bis. Non era scontato una settimana fa. Ma il premier non voleva una fiducia di facciata. Ha fatto un discorso diretto, di ruvida franchezza con la Lega, la mattina, e con l’M5S di pomeriggio: i due partner più riottosi. Ha tentato il tutto per tutto con la fiducia sulla risoluzione Casini, una mossa che Mattarella ha visto di buon occhio. Era un modo per fare definitiva chiarezza. Ora è chiaro tutto: il centrodestra vuole andare al voto e i Cinquestelle non si sa più cosa sono. Al Colle, dove nel silenzio quotidiano delle cose hanno il polso del Paese, temevano da tempo le inquietudini della Lega. Si aspettavano la crisi da un momento all’altro. Salvini era arrivato a chiedere l’avvicendamento dei ministri Lamorgese e Speranza. Segno che “lo spirito repubblicano” che aveva animato “il governo di alto profilo senza formula politica”, battezzato nel febbraio del 2021, si era incenerito nel fuoco di questa estate di roghi.

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