Draghi si sottrae alla corte dei partiti: “Rimettiamoci al lavoro”

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Appare sollevato Mario Draghi, ai ministri che a sera si accomodano al tavolo del Consiglio. Nell’attesa del premier si salutano con qualche imbarazzo, scrutano i “congiurati”. Dovranno convivere ancora al governo fino alla formazione del nuovo esecutivo. Due o tre mesi almeno. Chi ha aperto la crisi e chi, all’opposto, vorrebbe presentarsi alle elezioni con l’agenda Draghi, ricandidando il premier uscente a Palazzo Chigi. Lui apre la riunione serafico, lascia fuori le scorie. “Ci sarà ancora tempo per i saluti, ora rimettiamoci al lavoro”, dice al termine di un breve discorso, quasi motivazionale: è molto ampio il mandato di Sergio Mattarella ad affrontare da dimissionari le emergenze del Paese.

(contenuti aggiornati al 21 luglio 2022)

Il premier gestirà gli affari correnti, finché deve. Ma non si farà trascinare nella contesa elettorale, sottolineano a Palazzo Chigi, anzi “guarda con assoluto distacco chi cerca di tirarlo nella mischia”. Finora è sempre stata “lontanissima da lui” non solo l’idea di candidarsi come fece Mario Monti ma anche quella di dare la disponibilità a essere indicato in campagna elettorale come futuro premier di riferimento del campo progressista, come sogna qualche Dem, o di Matteo Renzi e dei centristi. Loro sposano la sua agenda, lui non intende farsi “schierare”, assicura chi gli è vicino. Né candidarsi alla Nato, alla Commissione Ue. Riucordano quanto disse a febbraio: “Un lavoro me lo trovo da solo”. E al Quirinale? “Il mandato di Mattarella è appena iniziato…”, rispondono.

La tensione degli ultimi giorni traspare nei pochi minuti in cui il premier annuncia alla Camera la sua intenzione di andare a rassegnare le dimissioni, dopo che Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte gli hanno tolto la fiducia in Senato. Negli ultimi mesi, mentre vedeva affievolirsi il sostegno alla sua maggioranza, si era mostrato più pessimista dei suoi ministri e del suo staff sulle possibilità di arrivare fino alla fine della legislatura. La spinta ad andare avanti da cittadini e leader Ue è stata fino all’ultimo fortissima: raccontano che mercoledì mattina mentre ancora parlava in Senato sul cellulare gli sia arrivato un messaggio del primo ministro portoghese Antonio Costa che si diceva felice che avesse dato la sua disponibilità a guidare ancora il governo. Ma la maggioranza già non c’era più, si sarebbe visto di lì a poco. Con un (non) voto di chiarezza dopo giorni di amarezza e irritazione. Una chiarezza che porta sollievo e commozione: “Certe volte – il premier indugia di fronte al lungo applauso della Camera, prima di leggere il brevissimo testo che ha davanti – anche il cuore dei banchieri centrali viene usato”. Dai banchi della sinistra si alzano in piedi ad applaudire, batte le mani Federico D’Incà, che ha provato dentro il M5s a evitare la rottura (“Grazie di quel che avete fatto tu e Crippa”, gli ha reso merito in privato mercoledì Draghi). Resta immobile Fabiana Dadone, è assente Stefano Patuanelli. Applaudono i ministri azzurri, che in nome di un governo a lungo difeso rompono col partito. Battono le mani anche i leghisti Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia, Erika Stefani, che hanno messo sul tavolo le loro dimissioni ma sono stati invitati a restare, dal premier e dal Quirinale.

Non è l’ora della resa dei conti – questa la motivazione – bisogna tenere accesa la macchina del governo mentre fuori infuria la campagna elettorale, evitare che si fermino i ministeri bloccando l’attuazione del Pnrr, rispondere alle emergenze del Covid, del gas, dell’inflazione e anche alla guerra in Ucraina, a partire dal quarto decreto sulle armi che dovrebbe arrivare a breve. Dal Colle indicano a Palazzo Chigi il perimetro più ampio possibile per la gestione degli affari correnti, più di quanto si aspettassero negli uffici del premier. Si ipotizzava anche che l’ex banchiere centrale potesse impostare la prossima manovra, per scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio. Ma quelle scelte, secondo il premier, dovranno essere nella responsabilità di chi arriverà. L’esecutivo manderà a Bruxelles la nota di aggiornamento al Def, che a settembre dirà lo stato dei conti pubblici. Stop.

Dopo un confronto tra gli uffici, la direttiva approvata ieri sera in Consiglio dei ministri definisce nel dettaglio e con ampiezza cosa il governo potrà e dovrà fare nei prossimi mesi. C’è il decreto Aiuti 2, da circa 10 miliardi, in agenda a inizio agosto (dentro Orlando vorrebbe anche il salario minimo), il decreto infrastrutture da convertire, il golden power, l’attuazione del Pnrr da lasciare in dote a chi verrà, inclusi i decreti attuativi del ddl concorrenza che le Camere si sono impegnate ad approvare a giorni (dopo stralcio delle norme sui taxi). Nell’agenda di Draghi dovrebbero essere confermati il Meeting di Cl a Rimini il 25 agosto, il Consiglio Ue di settembre con al centro il tetto al prezzo del gas, l’assemblea Onu, forse un vertice Ue a Praga e l’impostazione del G7 Italia.

Per far tutto questo “dobbiamo mantenere determinazione”, è il messaggio di Draghi ai ministri. Ringrazia Mattarella, il sottosegretario Garofoli e “tutti” loro per la “generosità” di questi mesi, li invita a essere “orgogliosi” di quanto fatto: “Porterò con me un ricordo molto bello”. I ministri lo ringraziano, i cinquestelle si rammaricano. “L’Italia ha tutto per essere forte, autorevole, credibile nel mondo”, è il messaggio di fiducia nel momento della crisi. Ora parola alle urne, fin lì arriverà Draghi.

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