Centrodestra al voto, unito ma diviso. L’incognita è il leader

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ROMA – Il voto arriverà quattro giorni prima del suo 86esimo compleanno. Ed entro quella data, Silvio Berlusconi, intende consumare la sua rivincita: tornare nel Palazzo da cui ritiene di essere stato ingiustamente cacciato nove anni fa.

Riacquistare lo scranno al Senato che aveva perso alla fine del 2013 per via della condanna in via definitiva a quattro anni per frode fiscale, cui si accompagnava l’interdizione ai pubblici uffici per due anni.

Ora il presidente di Forza Italia, che nel frattempo è stato riabilitato ed eletto all’Europarlamento, intende chiudere il cerchio al termine di una fase di ripreso protagonismo che l’ha visto pure in corsa per il Quirinale, lo scorso gennaio.

E in un momento in cui torna a fare da mediatore nel centrodestra, tentando di ricucire – con la fretta figlia delle elezioni anticipate – la tela del centrodestra: ieri il Cavaliere ha ospitato a pranzo, a Villa Grande, Giorgia Meloni, in capo a mesi di liti e incomprensioni.

Ma con l’obiettivo di correre di nuovo insieme, di stringere un patto elettorale tenuto in piedi principalmente dai sondaggi che vedono il centrodestra in vantaggio.

Ma le regole d’ingaggio non ci sono, e tutto è rimandato a un vertice a tre – con Matteo Salvini – che dovrebbe tenersi nei primi giorni della prossima settimana. Non sarà un’occasione conviviale, probabilmente, come ha chiesto la leader di FdI, ma una riunione in una sede istituzionale, forse la Camera o il Senato. Da definire alcune questioni spinose. A partire dalla leadership.

Antonio Tajani, coordinatore di FI, frena: “Per ora è importante rafforzare la coalizione, avere un progetto per gli italiani, poi si vedranno quali saranno le regole. Prima bisogna vincere, avere una squadra forte e un buon allenamento. Poi chi alzerà la coppa, si vedrà”.

Però Meloni su questo punto è determinata, vuole la conferma della “norma” del 2018 che le darebbe, in qualità di leader del partito più votato (se così sarà), la nomination per Palazzo Chigi. In serata, a sorpresa, Salvini le offre un assist: “Il prossimo premier? Finalmente lo sceglieranno gli italiani: chi prenderà un voto in più avrà l’onore e l’onere di indicare il nome”, afferma il leader della Lega. “Nulla di strano, lo dice da anni”, sottolineano nel suo staff.

Ma certo un’affermazione del genere, in questo momento, ha un peso non indifferente. Intanto, quel che è certo, facilita il dialogo sulla ripartizione dei collegi. FI insiste per una divisione equa – un terzo per ogni partito – ma Fratelli d’Italia, proprio in virtù dei sondaggi ne vorrebbe più o meno la metà.

Una soluzione che potrebbe essere calata sul tavolo è quella di inserire nel pacchetto della trattativa anche le candidature per le Regioni: Meloni potrebbe essere invitata a fare un passo indietro sul numero dei collegi in cambio del via libera a propri uomini in Sicilia (Musumeci) e nel Lazio.

Di certo, gli esponenti di FdI non arriveranno arrendevoli al prossimo vertice: anché perché hanno in mano una rilevazione fatta su una cospicua cifra di elettori, 140 mila, che – si apprende – si sarebbero espressi in lieve maggioranza a favore di una corsa solitaria o con un’alleanza diversa dall’attuale coalizione con Berlusconi e Salvini.

Un dato da far valere non solo a uso interno, ma anche al tavolo del confronto. Una cosa è certa: al di là delle regole da stabilire, prima o dopo, in campagna elettorale il centrodestra non correrà con un candidato comune per Palazzo Chigi.

Gli sherpa del centrodestra, intanto, ragionano attorno a un Berlusconi che Tajani descrive vispo come “un grillo”, che ieri ha lasciato Roma per la Sardegna non prima di aver illustrato in una serie di interviste il suo programma “avveniristico” che riecheggia le altre discese in campo.

Otto punti racchiusi in otto video. Chicche che riportano al passato: c’è la promessa di pensioni “da almeno 1000 euro al mese per 13 mensilità, mamme e casalinghe comprese”. Non c’è l’impegno a creare un milione e mezzo di posti di lavoro, come nel contratto con gli italiani firmato con Vespa nel 2001, ma una riedizione in chiave ecologista: “Pianteremo un milione di alberi l’anno”.

E poi i vecchi cavalli di battaglia: tasse, meno burocrazia, meno processi, più sicurezza. Il Caimano si tuffa nella sua nona avventura elettorale. E gli alleati, ancora una volta, dipendono da lui. 

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