Il Pd e il rebus alleanze, Guerini chiude ai 5S. Conte: “No ai due forni”

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È davvero un rebus per abili solutori quello che ha di fronte Enrico Letta dopo la caduta del governo Draghi. Stabilire il perimetro della coalizione in appena tre settimane – tante quante ne mancano al termine per presentare le liste – è un rompicapo degno del cubo di Rubik, manovrato da più giocatori convinti di poterlo ricomporre. Ciascuno, ovviamente, a modo suo.

La mancata fiducia del M5S in Senato ha disintegrato il campo largo e tocca ricostruire. Solo che, mentre la clessidra scorre, il cantiere fatica a partire perché non c’è accordo sul progetto. C’è chi pensa a una sorta di Union sacrée anti-sovranista che riunisca non solo i partiti rimasti fedeli alla causa draghiana ma pure i fuoriusciti di Forza Italia (Dario Franceschini) e chi invita a riconsiderare l’esclusione dei grillini (Roberto Speranza), chi intende sbarrare la porta aMatteo Renzi (l’ala sinistra del Pd) e chi invece ritiene che sia comunque utile averlo in squadra (l’ala riformista). Nel mezzo, il leader dem – regista di un’operazione ai limiti dell’impossibile – che ha già maturato una sua linea, da discutere martedì nella Direzione convocata per definire i confini dell’alleanza progressista e i pilastri del programma per il Paese.

Ad attendere Letta sarà dunque un weekend di fuoco, e non solo per via del meteo: in programma una girandola di incontri e telefonate per sondare le intenzioni dei vari partner della incipiente coalizione, valutare la compatibilità delle proposte, capire a che punto del percorso stanno.

A cominciare da Carlo Calenda, che si punta a conquistare al fronte progressista: a dispetto dei propositi di corsa solitaria, il capo di Azione ha lasciato intendere di essere disponibile a un confronto, ora che il M5S è sparito dai radar, consapevole che con questa legge elettorale i liberaldemocratici possono fare la differenza, impedendo al centrodestra di fare il pieno nei collegi uninominali. Ma sotto osservazione c’è pure Luigi Di Maio, alle prese con il simbolo del nuovo partito: avrà il suo nome dentro, per renderlo riconoscibile come gli chiedono i fedelissimi, oppure no, come pretende lui, contrario ai partiti personali?

Diverso il discorso per gli amici di Articolo1, che dopo la deludente esperienza di Leu, potrebbero finire nelle liste del Pd: preludio di quel ritorno a casa auspicato da Letta. Resta giusto un piccolo attrito da appianare: Bersani e Speranza, nelle vesti di pacieri, hanno invitato il segretario dem a riconsiderare l’estromissione dei 5Stelle. “Credo che abbia commesso un errore grave, ma per me l’avversario è e resta la destra”, spiegava ieri sera il ministro della Salute al Tg3. Preceduto dall’avvertimento di Federico Fornaro: “Il Rosatellum premia i partiti che si alleano e penalizzano quelli solitari. I 147 collegi uninominali alla Camera e i 74 al Senato possono far raggiungere al centrodestra il traguardo dei 2/3 dei seggi con cui si può cambiare la Costituzione senza referendum confermativo”, argomenta il capogruppo a Montecitorio. “Nella costruzione della coalizione gli effetti della legge elettorale non vanno trascurati se non vogliamo risvegliarci in un incubo”.

Ma i Dem appaiono irremovibili. “Bisogna essere chiari”, tuona Lorenzo Guerini. “Chi è stato protagonista della caduta del governo non può essere un interlocutore del Pd. Il patrimonio di credibilità e di autorevolezza che Draghi ha garantito al Paese non meritava di essere trattato così com’è stato in queste settimane”. Una chiusura netta. Che piomba con la forza di un ceffone in faccia al capo grillino. Non lasciandogli altra strada che aggrapparsi all’ultimo appiglio: “Ormai la macchina delle primarie siciliane è partita” e oggi “il Movimento vi prenderà parte”, ammonisce Conte. “In queste ore però leggo diverse dichiarazioni arroganti da parte del Pd. Non accettiamo la politica dei due forni. Quel che vale a Roma vale a Palermo”, attacca, come se fosse ancora in grado di dettare condizioni.

Letta non ha alcuna intenzione di cedere. Non solo gli elettori, infuriati con il M5S, non capirebbero, ma gli si spaccherebbe il partito, compromettendo ogni dialogo coi centristi. La replica, gelida, affidata a una card su Twitter. C’è la foto di Draghi che saluta, dopo il naufragio in Senato, abbinata a un appello: “L’Italia è stata tradita. Il Pd la difende. E tu, sei con noi?”.

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