L’appello di Letta in Direzione Pd: “Io front-runner, l’Italia rischia di finire fuori dall’Europa”. Sulle candidature: “Nessuno seggio è sicuro, tanti saranno scontenti”

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Chiama a raccolta gli italiani, Enrico Letta: tutti, inclusi gli elettori di centrodestra che hanno a cuore la democrazia e l’Europa contro chi invece – Meloni e Salvini – l’Europa la vogliono distruggere e oltreconfine sono alleati con i principali leader sovranisti. Dice che si potrà vincere la partita “solo se riusciremo a convincere quelli che, anche alle ultime amministrative, non hanno votato per noi”. Spiega che il “cuore del nostro progetto sarà la lista del Pd, aperta ed espansiva”, innanzitutto ad Articolo Uno e a Demos, il movimento che si richiama a Sant’Egidio. Infine avverte: “Mai come in queste elezioni, mai dal ’48 a oggi, il voto sarà determinante sugli equilibri politici continentali. Il pareggio, con questa legge elettorale, non è contemplato”.

È un Letta in modalità capo della Resistenza repubblicana insidiata dalle pulsioni illiberali degli avversari quello che apre la Direzione del Pd convocata per approvare il regolamento sulle candidature e ottenere un mandato pieno a trattare con potenziali partner, da Calenda a Fratoianni, che “non sono semplicissimi”. Con i quali comunque stringere – chiarisce – semplici “alleanze elettorali”, non patti organici come fu con i 5 Stelle: utili per provare a strappare quanti più collegi uninominali alla destra, in grado di “fare la differenza” ai fini del risultato. Perciò servirà schierare in campo i campioni, ritagliando per sé il ruolo del front-runner: “Tanti resteranno scontenti”, prevede il segretario dem, chiedendo ai parlamentari e ai dirigenti del suo partito, anche a quelli che non verranno (ri)canditati “generosità e impegno”, soprattutto di “non creare problemi”.

O con noi o con Meloni

È la collocazione internazionale dell’Italia, a rischio deragliamento verso l’estremismo nazionalista, la vera posta in gioco delle incombenti Politiche: “O vince l’Europa comunitaria del Next generation Eu, dell’Erasmus e della speranza, oppure vince l’Europa di Orban, Vox e Marine Le Pen“, spiega Letta nella sua relazione. “Non ci sono terze opzioni. La scelta è tra noi e Meloni, gli italiani devono averlo chiaro”. Come pure devono sapere che la sconfitta dei progressisti non sarà garanzia di stabilità, tutt’altro: “A destra litigano così tanto che se anche vincessero le elezioni, e non accadrà, durerebbero un mese”.

No al M5S

Il patto con Giuseppe Conte si è rotto e non verrà ripristinato, garantisce il segretario, ma questo non vuol dire pentirsi, “rinnegare i tre anni che abbiamo dietro le spalle”. Anche quelli sono stati importanti: “Senza il lavoro al fianco del M5S non ci sarebbe stato il Conte 2, che poi ha reso possibile il governo Draghi” insiste Letta, indisponibile a infierire sugli ex alleati. Fine delle concessioni però. Quanto è successo il 20 luglio in Senato segna “una cesura”, impossibile da ignorare. Per questo, in vista della trattativa sulle alleanze, “chiedo di darmi mandato su tre criteri: andare a discutere con forze politiche fuori dal trio della irresponsabilità”, ossia M5S, Lega e Fi che hanno fatto mancare la fiducia al governo, “in grado di portare un valore aggiunto, che abbiano spirito costruttivo e non mettano veti”.

La lista dei Democratici e Progressisti

Si chiamerà Democratici e Progressisti la lista inclusiva e aperta immagina da Letta come “brand della nostra campagna elettorale”: nasce “dal lavoro comune delle Agorà” e presenterà “il progetto per l’Italia del 2027”. Verrà approvata insieme a tutti coloro che ne faranno parte “durante la direzione nazionale” che verrà convocata prima della sua presentazione ufficiale. “Quella sarà il centro del nostro programma elettorale e il centro della nostra Italia”. Nessuno perciò tema che le alleanze possano snaturare le proposte e il messaggio del Pd. “Non accadrà”, assicura Letta. Invitando ad andare tutti “casa per casa, strada per strada” a cercare voti: “Tutti devono dare una mano”.

Il nodo candidature

Tanti cani all’osso per pochissimi posti disponibili: il rischio di non essere ricandidato, prima ancora che eletto, sta terrorizzando la truppa dem. Ma Letta non finge né tranquillizza, invita anzi tutti a fare esercizio di realismo. “Il taglio dei parlamentari è passato in cavalleria, ma vorrei ricordare che si vota per un Senato di 200 componenti e tutti abbiamo chiaro cosa vuol dire, che la maggior parte dei seggi saranno con l’incertezza”, avverte. Distrbuiti in base a due criteri che non saranno derogati: l’effettiva parità di genere, che non verrà elusa con i trucchetti utilizzati nel 2018, e la volontà dei territori. “Le persone devono tendenzialmente andarsi a candidare a casa propria perché fa parte del rapporto con i territori che deve essere ricostruito”.

La discesa in campo dei migliori

“Ci sono 30 collegi al Senato e 60 alla Camera da cui dipenderanno le elezioni. Lì siamo sotto di 5-6-7-8 punti, dobbiamo scegliere il candidato giusto. E la gente andrà a vedere se c’è il paracadute oppure no”. Quindi nessuno dei big si faccia illusioni, è il messaggio. Non tutti (o forse nessuno) verrà riprotetto sul proporzionale come accaduto in passato. E infatti “ci saranno tantissime persone che saranno scontente, perché ognuno di noi ha tante aspirazioni”, riflette Letta, “ma vi chiedo di mettevi nei panni dei segretari regionali, che dovranno comporre le liste alla luce della riduzione dei seggi”. Per questo chiede a tutti “generosità e impegno”, Letta, “specie a chi ha più esperienza, ai nomi importanti”. Con la lista del Pd aperta agli esterni, qualche interno dovrà per forza restare fuori. Guai perciò a chi pensa: “Ora pianto un paletto e vediamo se qualcuno lo toglie. O si guarda in positivo o si passano le prossime settimane facendo volare stracci”.

Come un quadro di Van Gogh

A chi teme che personalità forti come Calenda, da destra, oppure intransigenti come Fratoianni, possano snaturare e indebolire la proposta del Pd, Letta replica nell’unico modo possibile. “Il cuore del nostro progetto politico siamo noi e la nostra lista, poi ci sono alleanze elettorali che siamo costretti a fare”, senza però “inficiare la nettezza della nostra narrazione”. Riassumibile in una metafora, che il segretario utilizzava spesso agli esordi della sua carriera politica: “Vorrei che il Pd fosse come un quadro di Van Gogh, che ha colori nitidi e netti. Tutto chiarissimo e nell’insieme tutto bellissimo”. La relazione, alla fine, viene approvata all’unanimità.

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