Il doppio mandato scuote il M5S. Aut aut di Grillo, Conte: “Non è vero”

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MILANO – Beppe Grillo che minaccia di andarsene, portandosi via il pallone (il simbolo del M5S è suo…), Giuseppe Conte che smentisce la ricostruzione, il direttivo della Camera che si dimette, con il capogruppo (ex) Davide Crippa che adesso medita di lasciare il partito. La campagna elettorale sta per cominciare ma il Movimento continua a vivere la propria ormai perenne fase di convulsione, ad ogni giorno il suo patema.

L’aver rimandato per mesi (anzi, anni) la spinosa questione del tetto dei due mandati elettivi, regola aurea che gli interessati dalla tagliola vorrebbero superare, costringe Conte a dover decidere una volta per tutte, e in poche ore, se mantenerla o meno. Già in fase di scrittura del nuovo Statuto del Movimento, oltre un anno fa, il fondatore aveva spiegato che per lui il tetto restava intoccabile. Perciò si decise di mettere tutto sotto il tappeto, con un bel “poi si vedrà”. Quando invece il mese scorso Grillo era stato a Roma per una serie di incontri politici, pareva si fosse convinto a “salvare” qualcuno. Salvo poi, una volta incontrati i parlamentari, cambiare idea. Opinione ribadita sabato scorso con una clip pubblicata sul proprio blog (“i due mandati sono la nostra luce, un antibiotico, ci vuole un’interpretazione della politica in un altro modo”). “Se fate delle deroghe me ne vado”, avrebbe detto il garante a Conte martedì, secondo un’indiscrezione di Adnkronos. “Nessuna telefonata e nessun aut aut. Abbiamo di fronte una grande battaglia da combattere tutti insieme per il Paese, guardiamo uniti nella stessa direzione”, la replica dell’ex presidente del Consiglio. In realtà Conte non è contrario al principio, anzi, così potrebbero liberarsi posti nelle liste. Ma basti pensare che la vicepresidente vicaria del partito, Paola Taverna, è coinvolta nella questione. Mesi fa fece un gran baccano al Senato solo perché le avevano cambiato la poltroncina, figuriamoci nel vedersela soffiar via del tutto. Così anche il presidente della Camera, Roberto Fico, verrebbe tagliato fuori. Personalità della vecchia guardia che in questi mesi sono state a fianco di Conte e che mettere alla porta – mi dispiace, non posso candidarvi – costa una certa fatica. Anche le micro-deroghe, a questo punto, appaiono improbabili. Per i coinvolti potrebbero essere garantiti ruoli di partito, retribuiti ovviamente; o consulenze con i prossimi gruppi parlamentari. Di certo Conte non ha alcuna intenzione di andare allo scontro con Grillo.

Ci sarà poi da decidere come redigere le liste, l’idea è quella di un sistema ibrido. Con il presidente del partito che nomina i capilista e gli altri componenti invece affidati alle scelte della rete; oppure, liste redatte e poi presentate agli iscritti, che potranno accettarle o meno. Il tempo stringe, per questo il vecchio metodo delle parlamentarie non sarà contemplato. Nel frattempo, dopo le dimissioni di Crippa – le malelingue assicurano che lo si vedrà candidato come indipendente nel Pd – il nuovo direttivo a Montecitorio dovrà approvare il rinnovo del contratto di collaborazione di Rocco Casalino. Lo spin doctor di Conte ha in piedi la doppia consulenza tra Camera e Senato, per un totale di 140 mila euro annui, e si era visto negare la proroga proprio da Crippa. Diventato un po’ il nuovo bastian contrario dopo l’addio di Luigi Di Maio. Certamente la fine del governo Draghi e quella anticipata della legislatura hanno rilasciato ulteriori tossine nel Movimento. Un altro problema che il tesoriere Claudio Cominardi sta affrontando sono i mancati versamenti al partito negli ultimi mesi da parte di numerosi eletti. Non solo oltre 70 se ne sono andati via con il ministro degli Esteri, anche quelli rimasti adesso nicchiano. Specie adesso, sapendo che torneranno a casa con mesi di anticipo. Solo che ora servono risorse per la campagna elettorale. Perciò a breve potrebbe partire dei richiami formali a chi si è “dimenticato”.

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