Le condizioni di Calenda: sì al Pd senza ex 5S e Fratoianni nei collegi

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Torna a oscillare il pendolo di Carlo Calenda. La rivolta interna esplosa dopo la conferenza stampa con Gelmini e Carfagna – dove s’era lasciato intendere che l’alleanza col Pd fosse a un passo – ha imposto una brusca frenata. “Entro lunedì decideremo”, annuncia sui social il leader di Azione, prendendosi altre 48 ore per decidere se andare solo, come vorrebbero i suoi, o insieme al centrosinistra, come suggerirebbe il Rosatellum. Molto dipenderà dalla risposta che riceverà da Enrico Letta, al quale è stata posta una condizione chiara.

Non sono piaciuti, né al leader azionista né ai tanti ex forzisti saliti sul suo carro, le indiscrezioni secondo cui il segretario dem sarebbe pronto a imbarcare i fuoriusciti del M5S. In particolare, l’ex capogruppo Crippa e il ministro D’Incà. Né le dichiarazioni di alcuni dirigenti pd, che in queste ore hanno rilanciato lo schema giallo-rosso. Se a questo si sommano le voci di un patto di ferro stretto sul maggioritario con Fratoianni e Bonelli, ecco che i dubbi diventano macigni. Tradotti nell’ultimatum recapitato al Nazareno: se tutti questi signori saranno candidati nel proporzionale, dove i listini di ciascun partito sono ben distinti e separati, Calenda potrebbe dire sì. Altrimenti, se correranno nei collegi uninominali, dove c’è un unico nome a rappresentare l’intera coalizione, si sfilerà. Non potendo accettare che Azione finisca sotto l’ombrello di gente che, oltre ad avere idee opposte alle sue, si è schierata contro il governo. È anche una questione di opportunità: tant’è che le due transfughe Gelmini e Carfagna saranno schierate solo nel proporzionale.

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Che la vicenda fosse virata al brutto si capisce già alle 7 del mattino, quando Calenda twitta: “La cosa più naturale per noi sarebbe il modello Roma”, ossia correre fuori dai due poli. “Anche perché la decisione del Pd di tenere dentro partiti che non hanno votato la fiducia a Draghi ed ex 5S non ci convince per nulla”. Ma c’è un però: “La legge elettorale è quella che è, e la campagna dura un mese”. Una delle “molte e complesse variabili” di cui tenere conto.Perciò occorre verificare bene i meccanismi di voto e il numero degli eletti che si otterrebbero da soli e in coalizione. “Un calcolo complicato, in realtà impossibile da fare con precisione”, avverte però uno degli uomini al lavoro sul dossier. Anche per questo i contatti con il Pd sono proseguiti: l’altro ieri, il coordinatore dem Marco Meloni e Debora Serracchiani hanno incontrato, per la seconda volta, gli emissari di Azione e +Europa, Mazziotti e Magi, per continuare a discutere i criteri con i quali spartirsi i collegi. Senza tuttavia precludersi l’altra strada. Per percorrere la quale serve invece capire quale simbolo si potrà utilizzare se si optasse per la corsa solitaria. Se la federazione con +Europa (sparata sull’accordo con il Pd) reggerà, come ha garantito ieri il segretario Della Vedova, basterà aggiungere la sigla di Azione. Altrimenti si pone il tema di come evitare di dover raccogliere le firme. Per legge ha diritto alla deroga sia chi abbia eletto alle Politiche almeno un parlamentare (come +Europa), sia chi lo abbia fatto alle Europee: Calenda nel 2019 è volato a Strasburgo con “Siamo Europei”, che è l’antesignano di Azione, sotto le insegne del Pd, dunque non ci dovrebbero essere problemi. Sebbene qualche esperto nutra dei dubbi.

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28 Luglio 2022

Questioni tecniche, che intersecano anche il dialogo con Iv. “Se ci presentiamo insieme facciamo il botto”, tifa un azionista doc. Confortato dai sondaggisti. “Una coalizione o una lista unica di centro con Calenda, Renzi e Toti”, prevede il direttore di Emg Fabrizio Masia, darebbe tra il 10 e il 15%”.

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