Sia al Nazareno che nel quartier generale di Azione prevale lo scetticismo: questo matrimonio elettorale non s’ha da fare. Gli unici a crederci ancora sono i radicali di +Europa, col segretario Benedetto Della Vedova che ha provato a riannodare il filo per tutta la giornata di ieri, parlando al telefono un po’ con Enrico Letta e un po’ con l’alleato Carlo Calenda. Spiegando soprattutto al leader dem che le richieste presentate domenica insieme ad Azione non erano “provocazioni”, per consumare lo strappo, ma al contrario una lista già smussata, la base di una trattativa vera. Sarà. Nel Pd ci credono poco. Per sperare nell’happy ending, siamo agli sgoccioli: l’incontro decisivo, previsto ieri e poi rimandato a stamattina – per far sbollire gli animi come suggeriva Emma Bonino – è in programma alle 11, a Montecitorio. Al catalogo dei segnali premonitori (negativi) si aggiunge un dettaglio: Letta e Calenda, al termine di una giornata passata a lanciarsi frecciate a distanza, a colpi di dichiarazioni e tweet, si sono sentiti tramite le rispettive segreterie, nessuna telefonata.
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di
Serenella Mattera
Il tweettometro dell’ex ministro dello Sviluppo ieri sera segnava 26 cinguettii in 24 ore (retweet esclusi), quasi tutti poco benevoli col Pd. Già col primo video pubblicato in mattinata Calenda ha tenuto la posizione, ricordando di avere chiesto a Letta “due cose” e cioè di non candidare nei collegi uninominali chi non ha votato la fiducia a Draghi come Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, i leader del cartello Sinistra-Verdi, ma anche il “trasformista” Luigi Di Maio, e di ancorarsi all’agenda Draghi. “Il minimo sindacale per non mettere insieme un’accozzaglia”, a suo dire. E “se la risposta sarà no, allora caro Enrico Letta la responsabilità della rottura sarà interamente tua”. È naturalmente un gioco delle parti. Nessuno nei due fronti vuole intestarsi una lacerazione che rischia di consegnare il grosso degli uninominali alla destra. Nel pomeriggio Letta ha tentato un’ultima mediazione. Riunendo il coordinamento del Pd per lanciare (dribblando i tanti malumori interni) un appello-risposta alla lettera di Calenda. Un appello ancora diplomatico. Con l’impegno a “costruire un’alleanza che prosegua” nel solco di Draghi e una postilla: “Ogni divisione è un regalo alla destra”. Dunque “basta veti”. A Calenda non è comunque bastato. La replica è arrivata subito. Via tweet, ovvio: “Enrico sei troppo intelligente per considerare questo appello una risposta. Vediamoci oggi con +Europa e chiudiamo in un senso o nell’altro. Così ci facciamo male tutti”.
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di
Stefano Cappellini
E ancora: “Esiste una profonda differenza tra alleanza e sottomissione”. A quel punto, anche Letta ha perso la pazienza, rivelando la “stretta di mano” con Calenda di quattro giorni fa, in cui l’accordo sembrava fatto. Anche da Più Europa si dichiarano insoddisfatti, ma tengono aperto uno spiraglio. Per “evitare di fare favori a Meloni e Salvini – dice proprio Della Vedova – che hanno come modello Orbán che reprime i diritti civili, teorizza la democrazia illiberale e attacca Bruxelles”. Chi tifa per la rottura è naturalmente Matteo Renzi, che corteggia Azione per il Terzo Polo: “Se domani Letta e Calenda fanno l’accordo, Forza Italia e Lega brindano. L’area di centro col 10% sarà decisiva”, si augura l’ex premier. È stato comunque Calenda a prendersi l’ultima parola, rivolgendosi sempre al leader dem: “I patti sono chiarissimi – l’ultima stilettata di giornata – Legittimo dire non riesco, ma chiudiamo questa partita”. Al fischio finale mancano una manciata di ore.
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di
Piera Matteucci