Odessa si prepara all’offensiva nucleare russa: riaperti i bunker in cui rifugiarsi in caso di attacco

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ODESSA – Le quattro leve arrugginite della porta d’acciaio funzionano ancora. Bisogna forzare col braccio, ma poi si sente lo scatto degli ingranaggi di fabbricazione sovietica. “Il problema sono le condutture dell’aria”, mormora Sasha avanzando nella penombra del rifugio anti-atomico. Otto metri sotto Odessa, quindici gradini che scendono giù nelle viscere di una Storia che si pensava chiusa. E che invece l’autocrate del Cremlino ha riaperto. “I filtri sono rotti, non fermerebbero le radiazioni. Questo posto lo usiamo quando tirano coi missili e i droni”. I quattro serbatoi d’acqua sono vuoti. Il bagno va, la doccia no.

Chi ha progettato il bunker nelle fondamenta di un’ex azienda di telecomunicazioni (adesso è la sede dei volontari di “We will help”, che quotidianamente portano cibo e vestiti a Mykolaiv) lo riteneva adatto a preservare la vita umana dal fallout nucleare per almeno tre settimane.

Erano gli anni Settanta del secolo scorso, un’era fa. Sasha, trentenne alto col volto gentile allarga le braccia. “Non credo che Putin alla fine sgancerà la bomba, però…”.

Nel suo “però” c’è tutto lo stato d’animo di Odessa, città folle e vivace. Non ci credono, però ci pensano. Tatyana e Valeria sono sulla spiaggia coi figli appena nati. All’orizzonte cinque navi cargo stanno evacuando il grano. Valeria, 29 anni: “Non seguo più le notizie, mi viene l’ansia”. Tatyana, 39 anni: “Se ci attaccano con testate nucleari, scappo all’estero. Oppure nelle catacombe”.

Nelle profondità di Odessa si dipana infatti il più grande labirinto al mondo: 3mila chilometri di cunicoli scavati nella roccia arenaria. Le chiamano catacombe, in realtà sono le miniere da cui hanno estratto le pietre per fare i palazzi. Si entra da mille fessure. Fu nascondiglio per i partigiani che combattevano la Germania nazista. Negli anni è diventato domicilio di criminali, tossici, senzatetto. “La polizia le tiene chiuse”, spiega Sasha, quello del bunker anti-atomico. “Se però dovesse accadere qualcosa di catastrofico, la popolazione scenderà nelle catacombe”.

Ancora un però. Non ci credono, ma si preparano. Sui social e sui siti di informazione locali sono stati pubblicati vademecum improvvisati. “In caso di attacco nucleare, chi è oltre i 5 km dall’epicentro ha la speranza di sopravvivere”, “avete massimo 15 minuti dopo l’impatto per raggiungere il rifugio”, “se non ne trovate uno, andate ai piani alti del vostro palazzo, oltre il decimo”, “preparate una valigia con acqua, cibo in scatola, una lampadina, vestiti, radiotrasmittente e pillole di iodio”. I negozi le hanno quasi esaurite.

“Cose da pazzi, è isteria di massa”. Svitlana, la dottoressa della farmacia vicino al Teatro dell’Opera, mostra un blister con dieci pillole. “Costa 170 grivna (4 euro e 70). Ingerirle senza conoscere lo stato di salute della propria tiroide è da pazzi, non si deve fare! Neanche i lavoratori di Chernobyl le usavano, preferivano un rimedio alternativo: bere vino rosso e latte insieme”.

Sin da quando è stata fondata nel 1974 dall’impero russo, Odessa è sempre stata fatalista. Un marziano che atterrasse oggi sulla scalinata Potemkin potrebbe fraintendere: ristoranti aperti, trenini turistici, gente in giro, al Teatro danno il Bolero di Ravel. È calma apparente, al massimo fatalismo. Chi si incontra per strada è quasi sempre uno sfollato: 30 mila sono quelli censiti, se ne aspettano 150 mila per Natale. Odessa è spaventata, forse per la prima volta da quando Putin ha invaso.

La scorsa settimana tre droni iraniani hanno distrutto con una precisione chirurgica un obiettivo strategico nel centro città di cui nessuno, in teoria, doveva conoscerne l’esistenza. Il governo locale, in contatto con Kiev, per ora mantiene l’allerta basso, ma si domanda se questa regione del sud-ovest ucraino possa essere l’obiettivo, nel caso Putin premesse il tasto rosso. Può esserlo.

Il ragionamento che si fa in queste ore è: lanciare in Donbass una testata nucleare, dopo le annessioni unilaterali precedute dai referendum farsa, significa per il Cremlino colpire il territorio della Federazione; attaccare la capitale, con le rappresentanze diplomatiche, sarebbe troppo una provocazione; lo stesso vale per l’area di Leopoli, molto vicina alla Polonia membro Nato.

C’è chi ipotizza l’Isola dei Serpenti, lo scoglio simbolico di questa guerra. Qui i doganieri ucraini mandarono a quel paese la nave russa, immagine iconica che ora è sui francobolli. Si trova a 100 chilometri a sud di Odessa. “Non è che questo ci tranquillizza”, ragiona l’italiano Attilio Malliani, consigliere diplomatico del sindaco Gennadiy Trukhanov. Sta lavorando come un forsennato per far entrare la città tra i patrimoni dell’Unesco, riuscendo intanto a portare la richiesta alla Commissione (presieduta da un russo) in tempi record. “Qual è l’onda d’urto di un’arma nucleare tattica?”, si chiede. “Dicono 40 km, ma non si ha certezza. E poi i venti potrebbero portare qui la nube radioattiva”.

Odessa non ci crede. Però. Una bomba atomica riporterebbe gli esseri umani a vivere nelle grotte. Come primitivi del Ventunesimo secolo.

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