Russia, ceceni e mercenari contro i generali: i signori delle milizie tentati dal golpe

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MOSCA – A inveire sono sempre loro, i bellicisti del cosiddetto “partito della guerra”. Gli stessi che levarono gli scudi dopo il “riposizionamento” delle truppe russe che occupavano Kharkiv e Izjum, l’ennesimo eufemismo adottato della Difesa in quella che a Mosca si può chiamare soltanto “operazione militare speciale”. Ma, all’indomani dell’arretramento da Lyman, nell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, unilateralmente annessa alla Russia da Vladimir Putin con una cerimonia in pompa magna al Cremlino, la frustrazione e la rabbia sono ancora più accese, i toni ancora più infuocati.

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01 Ottobre 2022

La beffa del ritiro da Lyman, città “russa” per un giorno

Stavolta neppure il ministero della Difesa riesce a edulcorare la realtà. Pur usando le consuete circonlocuzioni, deve ammettere che, “a causa della minaccia di accerchiamento, le forze sono state ritirate da Krasny Lyman su linee più vantaggiose”. Una battuta d’arresto che brucia come una beffa nel giorno in cui la Corte Costituzionale convalida l’annessione.

I nazionalisti parlano della prima perdita di una città “russa” a causa di una forza nemica dalla seconda guerra mondiale. Chiedono le teste dei generali, invocano la legge marziale o persino l’uso di armi nucleari. Sono attacchi che segnano una spaccatura sempre più profonda tra l’esercito regolare al comando del ministro della Difesa Serghej Shojgu e del capo di stato maggiore Valerij Gerasimov e le milizie irregolari, come i combattenti ceceni di Ramzan Kadyrov e i mercenari di Wagner al soldo di Evgenij Prigozhin. Tanto che, davanti a queste crepe, ci sono analisti che prevedono purghe dei vertici militari o paventano addirittura un golpe.

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24 Settembre 2022

Gli attacchi di Kadyrov e Prigozhin al comando di “eserciti privati”

A tuonare sono quelli che di fatto hanno a disposizione “eserciti privati”, come aveva avvertito soltanto pochi giorni fa la commentatrice Julija Latynina ventilando il precedente della “rivolta dei Taiping in Cina” dopo le ultime mosse precipitose del Cremlino, l’annessione di quattro regioni ucraine e la mobilitazione “parziale”. Primo fra tutti il leader ceceno Ramzan Kadyrov.

Il “mastino di Putin”, che con i suoi uomini ha raso al suolo Mariupol, se la prende con i vertici militari accusandoli di essere sconnessi dalla realtà e di non informare propriamente Putin. Denuncia che le truppe sono state lasciate senza mezzi adeguati per comunicare. Definisce il generale Aleksandr Lapin una persona “mediocre” che però gode “del sostegno dei vertici dello Stato maggiore”. Parla di “nepotismo”. “Come puoi comandare correttamente le unità quando sei a 150 chilometri di distanza? Abbiamo rinunciato a diverse città e a una vasta area perché non avevamo una logistica militare di base”, sentenzia sul suo canale Telegram.

E, nello stesso giorno in cui, in visita a Mosca, incontra il capo dell’amministrazione presidenziale Anton Vajno, il suo vice Sergej Kirienko e il sindaco della capitale Sergej Sobjanin, invita Putin a rispondere con un’ulteriore escalation: “Dobbiamo adottare misure più incisive, inclusa l’imposizione della legge marziale nelle regioni di confine e l’uso di armi nucleari a basso rendimento”.

Parole a cui, dopo poche ore, si accoda Evgenij Prigozhin, lo stretto collaboratore di Putin che ha recentemente ammesso di essere il fondatore e il dirigente della compagnia militare privata Wagner e che negli ultimi mesi ha reclutato migliaia di prigionieri per combattere in Ucraina: “Ramzan, sei un grande. Inviate tutta questa immondizia a piedi nudi e armata direttamente al fronte”.

Mentre “Strelkov”, l’ex colonnello dei servizi di sicurezza ed ex “ministro” della Difesa di Donetsk Igor Girkin, prende di mira Gerasimov. “Questo compagno – ironizza – dovrebbe essere glorificato per tutte le nostre vittorie, a partire dalla “de-escalation” a Kiev, Sumy, Chernihiv, continuando con il “raggruppamento riuscito” a Balakleja, Izjum, Kupjansk, Volshansk per terminare con il “ritiro per posizioni vantaggiose” da Lyman”.

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30 Settembre 2022

Prilepin, Guruliov, Kashevarova: le voci contro l’esercito

“Lyman. La nostra città. La nostra città russa… Ogni perdita è una perdita personale del comandante in capo”, scrive lo scrittore ed ex deputato nazionalista Zakhar Prilepin, già comandante di un battaglione nel Donbass, invocando “accelerazione, impulso e mobilitazione a tutti i livelli”.

Andrej Guruliov, generale dell’esercito in pensione, ex vice comandante del Distretto militare meridionale, oggi parlamentare, accusa senza mezzi termini i comandi militari di non aver informato Putin sulla situazione in prima linea. “Non riesco a spiegarmi la caduta di Lyman. Non capisco perché non abbiano valutato la situazione per tutto questo tempo e non abbiano rafforzato il dispiegamento”, dice in un talk show denunciando la “menzogna endemica” dietro ai rapporti eccessivamente ottimistici sulla situazione sul terreno prima che la linea venga improvvisamente interrotta.

Anastasia Kashevarova, ex consigliera del presidente della Duma, Vjacheslav Volodin, si rivolge direttamente a Vladimir Putin: “Si scopre che siamo impreparati e che perdiamo i territori e le persone liberati e il materiale bellico. Lei è il nostro comandante in capo. Prenda misure drastiche anche se colpiscono gli amici”.

Il blogger propagandista Jurij Kotenok ricorda che i generali sovietici furono giustiziati da Stalin dopo le sconfitte subite dall’esercito di Hitler durante la seconda guerra mondiale.

Sono voci che i seguitissimi “canali Z” (dal simbolo della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina) rilanciano e amplificano su Twitter. Mentre i canali vicini al Cremlino come Readovka accusano invece Kadyrov e compagni di essere peggio del nemico oppure persino di lavorare per “i traditori”.

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30 Aprile 2022

Le previsioni di purghe e i timori di un golpe

“Avete bisogno di una prova delle crepe in seno all’élite, spesso un segno della fine di un regime?”, commenta l’economista Konstantin Sonin, oggi all’Università di Chicago.

Le crepe sono tali che l’Institute for the Study of War sostengono che il Cremlino potrebbe “amplificare tali critiche per stabilire le condizioni per i cambi di personale all’interno del comando militare superiore nelle prossime settimane”. Christo Grozev a capo del sito investigativo Bellingcat commenta: “È in atto uno scisma totale in seno alla lobby della guerra che non è destinato a concludersi in modo pacifico, senza voler fare giochi di parole”.

Leonid Bershidskij, l’ex direttore di Vedomosti da anni esiliato a Berlino, oggi editorialista di Bloomberg, va ancora più dritto: “Kadyrov, Prigozhin, Strelkov, Guruliov: le loro critiche pubbliche non mirano più in alto del ministro della Difesa Shojgu e del capo dello staff generale Gerasimov. Ma ho pochi dubbi che questa sia solamente la parte pubblica. Sarebbe saggio prepararsi a un golpe di estrema destra”.

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