Il metodo Giorgia per chiudere il patto: “Gli italiani non possono aspettare oltre”

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Adesso sono ottimista, credo di aver fatto delle proposte serie e tutti possono ritenersi soddisfatti”, dice Giorgia Meloni quando a tarda sera saluta i suoi, tira un sospiro di sollievo e lascia Montecitorio al termine di una giornata che sembrava volgere al peggio. “Gli italiani sono alle prese con le bollette, con una guerra a poca distanza, con il costo della vita che cresce, non possono vederci indugiare sulla scelta di un ministro o di un presidente”, è lo sfogo raccolto da chi le è stato vicino.

Eppure il vertice a tre previsto per il pomeriggio era saltato. Il faccia a faccia con Berlusconi a Villa Grande si era concluso senza un accordo sui ministeri chiave. La prospettiva era quella di andare in ordine sparso alle votazioni di oggi. Non proprio esaltante come prima uscita di una coalizione che si è affermata con quei numeri. Un quadro talmente funesto da indurre perfino Matteo Salvini a indossare i panni del pompiere, a chiamare la futura premier e a comunicarle che sì, alla fine la Lega avrebbe rinunciato al suo Calderoli per Palazzo Madama, spianando di fatto la strada aIgnazio La Russa. Sempre che l’accordo regga, nelle prossime ore, agli umori fumantini della corte berlusconiana. Meloni a questo punto si ferma, siede al suo scranno di Montecitorio come in riva al fiume, e aspetta. Ha deciso di attendere le mosse degli altri. Anche per questo, con molta probabilità, non si terrà alcun vertice prima delle votazioni di oggi nelle due Camere. Lo si farà a seguire.

“Io voglio un Consiglio dei ministri serio, formato da persone competenti e che si possa mettere subito al lavoro”, è quanto ripetuto da Meloni al telefono a Salvini e dal vivo nel bilaterale con Berlusconi. L’obiettivo che si è intestata è quello di portare al capo dello Stato la lista dei ministri poche ore dopo l’affidamento dell’incarico. E per come si sono messe le cose, nonostante i veti e i capricci dell’alleato forzista, ritiene di poter centrare ancora l’obiettivo. Anche perché dal Quirinale con molta probabilità avrà qualche giorno in più di tempo, se è vero che le consultazioni inizieranno non prima della metà della prossima settimana. Aver optato per Giorgetti all’Economia lo ritiene un successo personale e dell’intera compagine, alla luce della competenza e della preparazione del numero due della Lega. “Io ho bisogno di qualcuno che sappia dove mettere le mani, che sia in grado di lavorare in pochi giorni alla legge di bilancio, non avremo molto tempo a disposizione”, ripete. E pazienza se il partito di appartenenza non se ne sia fatto carico cedendo il “cartellino” alla futura inquilina di Palazzo Chigi.

In fondo, sta andando così anche con le altre pedine. Con gli alleati viene concordato il dicastero, ma sui nomi Giorgia vuole la penultima parola, dato che l’ultima spetta al capo dello Stato, come da Costituzione. In questa logica per lei può funzionare anche la concessione alla Lega di ministeri pesanti come gli Interni (ma non per Salvini), le Infrastrutture (quelle sì, forse per il leader), l’agricoltura. E financo della presidenza della Camera per il fedelissimo del capo Riccardo Molinari.

Su un paio di punti invece Meloni non intende cedere. E lo ha detto all’anziano alleato con la schiettezza che la contraddistingue, nell’ora trascorsa a Villa Grande. Il ministero dello Sviluppo economico (che sovrintende a tante cose, incluse le telecomunicazioni) non potrà andare – e per molte ragioni – a Forza Italia. Su quella casella la candidata premier vuole un suo uomo, verosimilmente Guido Crosetto. Il numero due Antonio Tajani sarà con molta probabilità il ministro degli Esteri, a conferma di una disponibilità ampia. Ma il secondo paletto riguarda la Giustizia. Non è per una questione personale nei confronti di Elisabetta Alberti Casellati se preferisce che non vada lei in via Arenula. “Siamo anche amiche” ha confidato a Berlusconi. Il fatto è che per la leader di Fdi Carlo Nordio è il “migliore Guardasigilli possibile” nella compagine esistente. E conta di convincere della bontà della scelta anche l’alleato. Pronta, se è il caso, a concedere perfino il ruolo simbolico di vicepremier per i due maggiorenti Salvini e Tajani. Dettagli, nel quadro complessivo. Sta di fatto che il vero punto di crisi – sembra un paradosso – ma è diventato il ruolo di Licia Ronzulli, per la quale restano sprangate le porte di qualsiasi ministero. Di prima come di seconda fascia.

Oggi è un altro giorno. Meloni, seduta in riva al fiume, resterà a scrutare gli alleati, per capire se staranno ai patti eleggendo in blocco e senza franchi tiratori La Russa alla presidenza. Solo dopo siederanno tutti a un tavolo e potrà prendere il largo il “suo” governo.

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