La Russa presidente col soccorso “rosso”. E la destra si spacca

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ROMA – Ignazio Benito Maria La Russa è entrato a Palazzo Madama alle 10.35, ha abbracciato a lungo il rivale sconfitto, il leghista Roberto Calderoli, ha applaudito il discorso della senatrice a vita Liliana Segre, ha incassato un plateale vaffa in aula da Silvio Berlusconi e meno di quattro ore dopo il suo arrivo era ufficialmente il nuovo presidente del Senato. Per giunta con almeno 18 voti, forse più di 20, arrivati dalle file dell’opposizione a sostituire quelli mancanti di Forza Italia. La Russa ha regalato a Segre un mazzo di rose bianche e ha detto: “Ringrazio chi mi ha votato fuori dal centrodestra”. Più avanti, dopo aver pronunciato il discorso di insediamento, sarà meno formale, “sto ‘na Pasqua, ma mo’ so’ cavoli miei”, mischiando le sue tre cadenze, la siciliana d’origine, la milanese d’adozione e la romana di Palazzo.

Battibecco pubblico Berlusconi-La Russa

Doveva finire così, che il missino verace La Russa diventasse la seconda carica dello Stato proprio senza la benedizione del leader e del partito che, in fondo, questo giorno hanno reso possibile, sdoganando lui e i suoi ex camerati agli albori della Seconda Repubblica. Clamoroso il battibecco pubblico con Berlusconi, quasi paradossale per La Russa che ai tempi di Alleanza nazionale era considerato la quinta colonna di Forza Italia dentro il partito di Gianfranco Fini. È ancora in corso la chiama dei senatori quando il quasi presidente del Senato si ferma davanti alla postazione del Cavaliere giusto il tempo per essere oltraggiato, capisce che non è aria e cerca di limitare l’incidente avviandosi per le scale interne all’emiciclo prima ancora che Berlusconi possa completare il suo moto di stizza sbattendo la penna sullo scranno. Ma ormai il danno è fatto. La scena diventa subito virale sui social.

Ronzulli il motivo del litigio

Appena arrivato nell’aula che lo aveva espulso con disonore, Berlusconi aveva scherzato con il consigliere principe di Giorgia Meloni, Guido Crosetto – “Sei ancora più alto” – e si era andato subito a sedere accanto a Licia Ronzulli, la scatola nera della prima crisi di coalizione, il nome che nella lista dei ministeri scritti di pugno dal Cavaliere figura associata ad almeno quattro dicasteri compreso quello con “delega agli anziani”, l’aspirante ministra che Giorgia Meloni lascerà presto tale con grande scorno dell’ex premier. La giornata opposta di ‘Gnazio e Silvio è scolpita dagli istanti successivi al voto. La Russa esce dal catafalco, imbuca la scheda con il suo nome e sorride allo smartphone di Isabella Rauti, figlia del fondatore di Ordine nuovo ed ex segretario del Movimento sociale, che immortala l’attimo: il cerchio è chiuso, la fiamma sta per ardere sulle vette dello Stato. Berlusconi, invece, esce dal catafalco dal lato sbagliato, lo stesso da cui era entrato, apre la tendina, si guarda attorno smarrito, poi un inserviente lo accompagna verso l’urna. 

116 voti a La Russa senza Forza Italia

Il responso dello scrutinio è del tutto imprevisto, tranne che ai congiurati dell’opposizione: 116 voti. Senza Forza Italia il candidato di Fratelli d’Italia avrebbe dovuto fermarsi sotto i 100. Per La Russa è il trionfo. Per gli azzurri, che avevano deciso di disertare il voto, con le eccezioni “istituzionali” di Berlusconi e dell’ex presidente Maria Elisabetta Casellati, un’altra sberla. 

Le accuse a Renzi

Comincia la caccia ai colpevoli. Tutti si girano verso Matteo Renzi: “Io, quando faccio certe cose, le rivendico. Per La Russa presidente ringraziate Letta”, dice lui. Carlo Calenda è indignato dai sospetti: “Io i postfascisti non li voto”. Il senatore dem antonio Misiani sussurra: “Qui c’è la manina di più partiti”. Si riferisce anche ai 5S. “Atto irresponsabile”, attacca Enrico Letta. Ma c’è chi giura di aver visto Renzi e il dem Dario Franceschini appartarsi a parlare in un angolo del Salone Garibaldi un quarto d’ora prima della chiama. “Chi ha votato La Russa non capisce nulla di politica”, si discolpa Franceschini. Qualcuno negli uffici dei partiti si mette a visionare i filmati del voto, per cronometrare i tempi di permanenza dei sospetti nel catafalco: chi ci ha messo troppo, non ha votato scheda bianca come avrebbe dovuto. Ma la moviola non risolve i dubbi. Pierferdinando Casini infierisce: “Nell’opposizione vedo dilettanti allo sbaraglio”. Berlusconi giura: “Meloni sapeva che Renzi avrebbe votato La Russa”. 

Il discorso di La Russa

Il quale La Russa, fresco di investitura con spruzzata bipartisan, sale sulla postazione di comando di Palazzo Madama all’ora in cui nella natìa Paternò usava il pisolino dopo pranzo, mentre i figli Geronimo e Lorenzo Cochis lo guardano dalle tribune in alto, e si schermisce: “Non ho preparato un discorso”. Poi parla per mezz’ora, come se avesse davanti i fogli. Infatti ce li ha. “Ma era solo una vecchia bozza”, giura. I più restano colpiti dal passaggio sul 25 aprile: “Una ricorrenza da festeggiare uniti”. Ad altri resta nell’orecchio l’invito a istituire la celebrazione della nascita del regno d’Italia, imprevista rivalutazione dell’epoca sabauda. Lo sforzo di scrollarsi di dosso l’immagine del postfascista è evidente, il minimo sindacale per chi ancora in campagna elettorale ha detto “siamo tutti eredi del Duce” e nel 2018, accogliendo una troupe giornalistica in casa, mostrava orgoglioso la statua di Mussolini su una mensola (“C’ho aggiunto sotto una stella rossa, così la tiene sotto i piedi”, spiegò all’intervistatore per fugare il dubbio, impossibile da coltivare, che si trattasse di confusione ideologica). Sostiene di condividere parola per parola l’intervento di Segre, che nel suo discorso ha ricordato alcuni scempi del fascismo, l’omicidio Matteotti, le leggi razziali, la guerra. Cita il presidente partigiano Sandro Pertini: “Nella vita è necessario saper lottare non solo senza paura ma anche senza speranza”. Elogia Sergio Mattarella e il predecessore Giorgio Napolitano. Omaggia “i patrioti di Kiev”, un riferimento che difficilmente comparirà nel discorso del presidente in pectore della Camera, il leghista Lorenzo Fontana. Il ricordo degli anni di piombo affonda nella Milano degli anni Settanta e ripercorre una soluzione di pacificazione già usata anni fa, dall’altra parte della barricata, da Walter Veltroni: “Voglio ricordare tre ragazzi uccisi, uno di destra, Sergio Ramelli, e due di sinistra, Fausto e Iaio, i cui assassini non sono mai stati trovati”. Sulla Costituzione avvisa: “La prima parte è intangibile, la seconda merita più efficienza, più adeguatezza ai nostri tempi”.

La frase più ovvia – “sarò il presidente di tutti” – è pure la più difficile da attuare. Quando al Senato si sono spente le luci, Forza Italia fa filtrare la notizia che potrebbe andare alle consultazioni separata dagli altri partiti della coalizione. Almeno al Quirinale Berlusconi vuol provare a uscire dalla porta giusta. 

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