Dal formaggio ribelle al gin rosa, quante sorprese al Mercato del Gusto

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Il formaggio da chiamare sottovoce, risi e gin che si colorano di rosa. Ma anche l’acqua che, nel Medioevo, si racconta che abbia protetto un intero paese dalle pestilenze e, at last but not least, una delle birre più antiche d’Europa, che proviene da un monastero tedesco con mille anni di vita. Sono solo alcune delle curiosità accolte dal Mercato inserito nel primo Festival del Gusto a Bologna a Palazzo Re Enzo, baricentro della città dotta (e grassa): la prima, forse, si lega proprio alla natura originaria dell’edificio, che fu luogo di prigione per il figlio di Federico II. In realtà si trattava di una sorta di gabbia dorata costellata da banchetti e festini, quasi una polizza assicurativa usata dai bolognesi come per porsi al riparo da attuali noie con l’impero.

Il formaggio innominabile, invece, è il Bitto Storico. Probabilmente, se il Manzoni ne avesse incrociato le sorti, avrebbe definito così quel formidabile tesoro caseario fatto seguendo i cardini della tradizione. Dettami diversi, però, dall’attuale disciplinare della Dop, quindi i “resistenti” hanno cambiato nome del loro formaggio in Storico Ribelle. Ma a Palazzo Re Enzo ha fatto capolino grazie a Quality Beer Academy anche una birra quasi millenaria (anzi, due: la Gold Ale e la Weisse Dunkel): la produzione è tuttora presente in uno dei tre monasteri-birrifici più antichi d’Europa, quello di Klosterscheire che, manco a dirlo, si trova in Germania. Tutto il gusto del tempo richiama la possenza di un prodotto che, in età medievale, definivano come “pane liquido”. Dal Medioevo arriva anche la leggenda di un’acqua che – si racconta – avesse protetto un intero paese dall’assedio della peste bubbonica: è quella di Cerelia, prodotta nel cuore dell’appennino tosco-emiliano. Nulla più di una leggenda metropolitana, pardon, paesana: ma tanto valse a consacrarla come elisir di benessere che, tuttora, ne ha fatto scoprire e valorizzare qualità positive, che hanno consentito di preservare un’economia che, come l’acqua, sgorga purissima dall’Appennino.

Alte quote – quelle a cavallo tra Emilia Romagna e Toscana – dove quali Alessia e Melindo Baccanelli producono – tra i pochissimi in Italia – la melata di abete bianco: e anche in questo caso le proprietà nutrizionali si sommano (è ricca di ferro e sali minerali, con proprietà antibiotiche). Di piglio radicalmente contemporaneo sono, invece, due prodotti che si tingono di rosa: il primo è il riso ottenuto da Vignola (Balzola, Alessandria) raffinando – totalmente o parzialmente – il riso nero della varietà ‘Verelè’, lavorandolo a pietra. A seconda della tipologia di lavorazione, lo si ottiene di colore rosa o violaceo: buonissimo se declinato, in cottura, alla Parmigiana.

Il riso, a Palazzo Re Enzo, viene anche dalle terre d’acqua dei Gonzaga (presenti i produttori di Nuvola, che attuano una filiera di produzione a metro zero, dalla risaia alla trasformazione diretta): qui la tradizione della risicoltura incrocia il Rinascimento di un’antica corte, sull’asse Milano-Mantova-Ferrara. Da Mantova anche i tortelli di Ciòcapiàt, prodotti da rigorosamente di zucca: eclettico, invece il gin tonic prodotto con una base di London dry dove vengono messi in infusione nove tipologie di fiori diversi per oltre 48 ore, lasciandovi infine quelli di pisello blu thailandese. Il gin assume una classica colorazione blu intenso che, per effetto dell’acido citrico, diventa rosa.

E’ rosa anche il contenuto di un cono golosissimo: ma dentro la cialda, al posto del gelato c’è la carne trita di Gelà Monfrà: una declinazione street food della battuta a coltello ad accogliere i visitatori appena varcata la soglia di Palazzo Re Enzo. Già, a Palazzo Re Enzo senza dubbio si beve curioso: anche quando si tratta di vino, assaggiando ad esempio i vini abruzzesi con cui quel Pecorino che viene definito come “vino del futuro”, che incrocia sempre più l’appeal delle nuove generazioni. Di contro, si può assaggiare, ad esempio, una Fortana di antichissima memoria, prodotta nel Ferrarese da viti a piede franco pre-fillossera, servito dai sommelier dell’Enoteca Regionale Emilia Romagna. Oppure si può fare un salto da La San Nicola ad ammirare le sfogline che producono i tortellini come un tempo (e alla velocità della luce, riuscendo a servire e ad accontentare tutti). Accompagnandoli con vini che ripercorrono l’origine etrusca dell’uva “brusca” (antesignana del Lambrusco), ovviamente restando nel cuore dell’Emilia: addirittura, nei pressi dei loro vigneti, sono state ritrovate nel corso di scavi archeologici le ampolle utilizzate per il trasporto. Oppure ci si sposta virtualmente nel Mantovano, con i vini della cantina sociale di Quistello.

Lato formaggi: oltre allo Storico Ribelle, un’altra rarità di montagna è il Castelmagno d’Alpeggio prodotto da un manipolo di produttori piemontesi: come Des Martin, che ne ha portato una propria selezione di qualità. Ci sono anche i formaggi della Svizzera, dall’Emmentaler alla curiosa Téte de Moine, di forma cilindrica che si consuma raschiandolo con un apposito attrezzo, la Girolle. Da nord a sud, si può vedere in diretta anche la produzione della mozzarella (presente il consorzio di tutela della Mozzarella di Bufala Campana con dimostrazioni dal vivo) e si può volare virtualmente in Repubblica Ceca a scoprire la produzione del Gran Moravia di Brazzale, presente anche con un altro prodotto di punta, il suo burro storico. Dulcis in fundo, il cioccolato e le specialità dolci del Polo del Gusto, che riunisce in un unico stand i marchi Agrimontana, Dammann Frères, Domori, Mastrojanni e Pintaudi: qui la curiosità sta nella semplicità degli ingredienti e della tradizione. Tutto, alla fine, va riportato alla sensazione originaria dell’impareggiabile piacere della scoperta del gusto.

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