È tornata la legge ‘ndrangheta”. E la legge, a Rho, la famiglia Bandiera la imponeva a modo suo. “È tornata la legge ‘ndrangheta”, ribadiva il 74enne boss Gaetano. Era la primavera del 2021, il clan voleva punire l’ex socio Marco Giordano, arrestato da poco con un etto di cocaina e scarcerato. Aveva litigato con il figlio Cristian Bandiera per un presunto debito non saldato, ma soprattutto veniva ritenuto “un infame”, uno che poteva cantare. “Sì, sì, bisogna fargli l’azione”, ribadiva il 50enne Antonio Procopio, uomo di fiducia della famiglia, mentre le cimici degli investigatori registravano parola per parola. Mentre i pedinamenti documentavano i fatti: come l’ordine di una testa di maiale presso un centro carni di Parabiago.
Il 22 maggio, dopo averla conservata in freezer, gli uomini di Gaetano Bandiera la depositarono davanti alla porta di casa. Messaggio recapitato. Del resto, gli uomini che dettavano legge nel grande comune dell’hinterland ovest di Milano lo avevano già fatto. Settembre 2020, altro presunto collaboratore da convincere con le cattive. Cristian Bandiera era stato esplicito, bisognava recapitare una testa di capretto: “Gli mettiamo un biglietto in bocca… la prossima testa è di vostro figlio”. Metodo mafioso classico. Da cinema. Iconografia potente in tempi di colletti bianchi mafiosi, di ‘ndrangheta imprenditoriale 4.0.
Così funzionava a Rho fino all’operazione messa a segno questa mattina dalla Squadra mobile di Milano, guidata dal dirigente Marco Calì. Sono 49 le ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Stefania Donadeo su richiesta del pubblico ministero Alessandra Cerreti della Direzione Distrettuale Antimafia, coordinata da Alessandra Dolci. Reati che vanno dal 416 bis alle estorsioni, dal traffico di cocaina – in cartello con Agazio Carioti, emissario dei Gallace di Guardavalle – a quello di armi: pistole di ogni calibro, mitragliette Skorpion, bombe a mano. Comprate e vendute, richieste e ordinate, un piccolo arsenale in divenire.
Ossessionati dai controlli di polizia, perennemente attaccati al videocitofono della loro palazzina-bunker a Rho, a caccia di microspie nascoste nelle auto che periodicamente cercavano di far bonificare in officine compiacenti, i Bandiera e i loro accoliti erano voraci. Tanto don limitarsi a incassare da “pizzo” e spaccio. L’indagine della Mobile ha infatti dimostrato come Cristian Bandiera e i suoi affiliati più stretti (Caterina Giancotti, Alessandro Furno, Barbara Lacerenza) incassassero mensilmente dal 2020 il reddito di cittadinanza. Il 46enne rampollo di don Gaetano – arrestato nel 2010 per l’omicidio dell’albanese Artin Avrami al termine di una rissa nella birreria Il Brigante, condannato a 16 anni e in semilibertà dal 2018 – risultava infatti nullatenente e percettore di redditi modestissimi, come il padre e la madre Cosima Fiorito.
In realtà, attraverso una serie di prestanomi, possedeva e controllava un pub a Pero, un bar a Vanzago e uno a Rho (il Chupito, base per incontri tra “uomini d’onore”), una rivendita ambulante di panini, infine un’intera palazzina a Lainate rilevata per 70mila euro. “È intestato a un mio prestanome”, raccontava a un amico, “perché io non posso avere niente intestato”. Antonio Procopio, titolare di un’impresa edile individuale, era riuscito invece ad ottenere un indennizzo Covid da mille euro. Mentre l’anziano Gaetano, pur di avere i domiciliari e uscire dal carcere di Opera, dov’era detenuto dal processo “Infinito”, si era finto invalido presentandosi in udienza al Tribunale di sorveglianza in sedia a rotelle. Anch’egli è stato intercettato mentre confessa il trucco: “Solo che, mi devo portare la carrozzella… Quella me la devo portare per forza… a fare finta che sono sopra la carrozzella”. Le foto scattate dalla Mobile all’uscita di casa, mentre Gaetano Bandiera cammina sulle sue gambe e Alessandro Furno carica la sedia nel cofano, hanno tolto ogni dubbio ai magistrati.
Ma è boss vero, Bandiera. Ci tiene a ribadirlo al sottoposto Procopio: “E mio figlio non comanda… ancora c’è il padre! Te l’ho detto anche di fronte a mio figlio… ancora il padre non è morto! Il padre è vivente, sono vivente ancora”. Venerato dal suo “picciotto”, devoto per la “dote” consegnata. “Compare Gaetano il sole che mi avete dato voglio… me lo tengo”. Concede “la Santa”, compone “la Copiata”, è depositario di tutto il classico rituale. Il figlio Cristian è il volto feroce, spesso spalleggiato da Caterina Giancotti nelle sue minacce. Soprattutto quando c’è da rientrare dei soldi prestati o dei crediti di droga: “Non scherzare con me che ti taglio la testa a te e a tuo padre io, eh”, intima a uno di loro. A un altro malcapitato spiega: “Io ho avvisato, io non sono da solo! io c’ho la mia famiglia dietro”. E lui: “Lo so, lo sanno tutti”.