Aggiornamento delle 14 del 4 gennaio – Donald Trump rompe il silenzio sull’elezione dello speaker della Camera e sul suo social Truth invita a votare Kevin McCarthy, bocciato ieri tre volte consecutive – come non accadeva da un secolo – da una ventina di colleghi dell’ala più radicale e conservatrice del partito, tutti vicini al tycoon.
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NEW YORK – “Non appartengo ad alcun partito organizzato. Io sono un democratico”. La crudele battuta che il comico Will Rogers usava per tormentare i suoi caotici compagni di strada politica, si rovescia adesso a sorpresa contro i repubblicani. Finora il Gop aveva sempre ambito a rappresentare un modello di responsabilità e moderazione, nelle scelte domestiche e internazionali. Però l’agguato che i suoi membri hanno teso ieri al loro stesso leader alla Camera Kevin McCarthy, ostruendone la corsa verso la poltrona di Speaker, dimostra la spaccatura e la confusione che lo domina nell’era di Trump.
Per ben tre volte il deputato della California non ha ottenuto la maggioranza necessaria a prendere il posto della democratica Nancy Pelosi, costretta a ritirarsi dopo la sconfitta di misura alle elezioni midterm di novembre, perché l’ala destra più estremista del Gop si è opposta. Così il Partito repubblicano ha confermato le critiche di chi lo accusa di essere troppo diviso per governare gli Stati Uniti: ora al Congresso, ma anche alla Casa Bianca tra due anni.
La narrativa di novembre prevedeva un’onda rossa, che avrebbe dovuto spazzare via i democratici. Una valanga doveva travolgerli alla Camera, e anche il Senato sembrava avviato a cambiare guida. Ciò avrebbe determinato il trionfo di Trump, che aveva scelto la linea e la maggior parte dei candidati, spalancandogli la strada del ritorno alla Casa Bianca tra due anni. Biden invece sarebbe stato costretto a rinunciare ai sogni di conferma, lasciando i democratici nel caos per cercare un’alternativa credibile.
È successo quasi il contrario. Il partito del presidente ha conservato la maggioranza al Senato, aumentandola anzi di un seggio, prima del tradimento di Sinema (la senatrice dell’Arizona che ha deciso di unirsi al gruppo indipendente). Il Gop ha ripreso la Camera, ma con appena nove voti di maggioranza. Questo perché nel referendum tra Biden e Trump le debolezze del primo, tipo l’inflazione alle stelle, hanno pesato meno di quelle del secondo, ossia gli scandali legali e la perpetua confusione.
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dalla nostra inviata Anna Lombardi
Qualunque persona sana di mente avrebbe imparato la lezione, capendo che il messaggio inviato dagli elettori era l’invito a tornare verso la responsabilità. I repubblicani dovevano dimostrare di aver capito, a partire dalla scelta del nuovo Speaker, terza carica dello Stato. Il loro candidato naturale era Kevin McCarthy, leader della minoranza negli anni di Pelosi. Non esattamente un moderato, perché pur di tenere viva l’ambizione di diventare il capo della Camera, si era spesso inchinato a Trump. Ad esempio, dopo l’assalto del 6 gennaio al Congresso aveva giurato di non voler più avere nulla a che fare con Donald, salvo poi ravvedersi e tornare a difenderlo. Questo atteggiamento però ha irritato i trumpisti irriducibili, che hanno promesso di fargliela pagare, negandogli i voti per diventare Speaker.
Per settimane è andato avanti il mercato delle vacche, con gli estremisti che cercavano concessioni, come le presidenze di commissioni chiave al Congresso, ma anche la promessa che McCarthy si sarebbe ritirato se anche un solo deputato gli avesse chiesto di farlo. L’accordo alla fine non è stato trovato, e quindi ieri si è andati avanti col voto al buio. Nel primo scrutinio ben 19 repubblicani hanno tradito il loro presunto leader, scegliendo candidati più estremisti come Biggs o Jordan. Data la maggioranza risicata, bastavano 5 defezioni per condannare McCarthy, ma è andata anche peggio. Una roba del genere, ossia la sconfitta del capo del partito di maggioranza al primo scrutinio, non accadeva dal 1923, cento anni fa. Lui però ha insistito, chiedendo subito un secondo voto, e proprio Jordan lo ha sostenuto parlando ai colleghi in aula: “Le cose che ci dividono sono molto meno importanti di quelle che ci separano dai democratici. Uniamoci per approvare le leggi di cui il paese ha bisogno”. Niente, però. McCarthy ha perso anche il secondo scrutinio, con la differenza che stavolta i dissidenti si sono uniti per sostenere proprio Jordan. Quindi si è tenuto il terzo, con un’altra bocciatura.
Nel 1853 servirono 153 scrutini per scegliere lo Speaker. Stavolta magari non finirà nello stesso modo, ma anche se alla fine i repubblicani accetteranno un candidato di compromesso, il dato politico è chiaro. Il partito è così diviso che difficilmente con la sua maggioranza risicata riuscirà ad approvare molte leggi. Al massimo farà le inchieste mirate per far deragliare Biden, sperando di usarle come Bengasi contro Hillary Clinton. Trump ha trascinato il Gop nel caos, e nessuno sa prevedere se e quando il partito di Lincoln ritroverà la sanità mentale.