Accise, il piano degli alleati per piegare la premier: “Abbassare i prezzi”

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Roma – Sulla carta, sembra un gol a porta vuota. La destra è avanti in Lombardia, il centrosinistra frantumato dove più poteva vincere, cioè nel Lazio. Eppure, a trenta giorni esatti dalle Regionali, Giorgia Meloni è in difficoltà. In queste ultime ore, Lega e Forza Italia pianificano come tornare alla carica per chiedere nuovamente un decreto sulle accise. Lo faranno nelle prossime ore, convinte che il prezzo dei carburanti resterà inchiodato in alto. Non vogliono pagare un amaro prezzo elettorale. Ufficialmente, la premier nega ripensamenti. E anzi difende la linea. Ma sottotraccia, nell’esecutivo è in corso una riflessione per preparare l’eventuale piano B: utilizzare l’extragettito dell’Iva derivato dall’aumento del costo della benzina per ritoccare proprio le accise.

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È un percorso, l’esito ancora incerto. Di sicuro c’è che Silvio Berlusconi ha dato ordine ai suoi uomini di insistere in questa battaglia. Altrettanto sicuro è che Matteo Salvini pressa riservatamente il Tesoro per individuare nuove risorse e tamponare il problema. Meloni, che ha sfidato i partner e compattato il consiglio dei ministri sulla sua posizione, non può e non vuole cedere, non nell’immediato. E anzi, prepara il rilancio: intende spostare l’attenzione dal caro benzina all’immigrazione.

Approverà presto un decreto su sicurezza, migranti e femminicidio. E pianifica sempre per gennaio un viaggio in almeno uno dei Paesi del Nord Africa, prima del Consiglio europeo del 9-10 febbraio. Probabilmente la Libia, da cui continuano le partenze verso l’Europa.

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Ma in queste ore non si parla d’altro che di benzina. È la madre di tutte le battaglie, l’angoscia inconfessata della destra, lo scalpo che serve a Palazzo Chigi per dimostrare chi comanda. Meloni ritiene che la gestione del messaggio del governo sul nodo delle accise sia stato confuso, disordinato, tardivo. Vuole ribaltarlo. Ci mette la faccia (anche se inciampa sul programma elettorale dimenticando le sue stesse promesse). Sceglie la strada della diretta social con gli “appunti di Giorgia” – negli ultimi cinquanta giorni ha tenuto una conferenza stampa, quella obbligata di fine anno – e contesta una presunta distorsione mediatica della vicenda dei rincari. La denuncia dell’assedio come strategia. Che non riesce però a sedare il malcontento degli alleati, terrorizzati dalle percentuali delle regionali.

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Non è in discussione l’esito, salvo cataclismi: i sondaggi riservati in mano a destra e sinistra indicano in una forbice attorno al 15 per cento il distacco in Lombardia, di 10 punti nel Lazio (a causa della scelta dei 5S di correre da soli). Meloni non crede che a pagare nelle urne saranno i suoi Fratelli d’Italia – anzi, il partito continua a crescere – semmai azzurri e leghisti. Ma l’effetto sarebbe comunque destabilizzante: Attilio Fontana si ritroverà a guidare una giunta in cui FdI godrà probabilmente di più seggi della somma dei partner.

Ecco perché Berlusconi, sondaggi alla mano e irritato per l’atteggiamento dei suoi ministri, spinge per riaprire la sfida sul gasolio. E produce un primo risultato: il titolare dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin non esclude «ogni misura necessaria qualora emergesse la necessità di intervenire tempestivamente». Lascia aperta la porta a una clamorosa svolta, precisando che altrimenti un intervento strutturale potrebbe concretizzarsi nella riforma fiscale di febbraio. In realtà, non si è mai fermata l’istruttoria dei tecnici del Tesoro per valutare come eventualmente contenere il peso delle accise. E dunque l’idea di valutare l’extragettito dell’Iva come contributo alla causa.

L’unico problema sono i tempi: le prime somme si potranno tirare a fine mese, ma a quel punto le elezioni sarebbero troppo riavvicinate. In questa direzione, sia pure tra le righe, sembra andare a sera un post della premier. Che prima reagisce alle critiche dell’opposizione, poi però aggiunge: «Se hai maggiori entrare dall’aumento dei prezzi del carburante le utilizzi per abbassare le tasse. Ma noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente».

L’ultima decisione è comunque politica. E spetta a Meloni, che dopo il video di ieri non può certo contraddirsi in tempi troppo stretti. Semmai, lavora a cambiare le priorità dell’agenda pubblica. E punta sui migranti. L’idea è alzare al massimo l’asticella in vista del Consiglio Ue di febbraio. In previsione di quell’appuntamento, riunisce a Palazzo Chigi i due vicepremier, il ministro dell’Interno e i Servizi. Chiede conto della moltiplicazione delle partenze, intende comprenderne le ragioni. Dà il via libera a organizzare missioni di Tajani e Piantedosi in Turchia, Tunisia e Libia. E si prepara a puntare tutto sul piano Mattei per l’Africa, per ottenere maggiori fondi continentali. Ne ha discusso anche con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ma c’è dell’altro. La premier potrebbe lanciare un segnale molto presto, volando nelle prossime settimane in Libia.

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