Una primavera di nomine ai vertici dei colossi di Stato. È quella che aspetta il governo Meloni che sta per archiviare – dopo lunghe trattative e non pochi screzi interni – la fase dello spoils system dei funzionari ai vertici della pubblica amministrazione. E l’aver già previsto, in questa fase, non soltanto l’avvicendamento tra Alessandro Rivera e Riccardo Barbieri alla direzione generale del Tesoro, ma anche lo spacchettamento della direzione stessa, con un dipartimento specificatamente dedicato alle partecipate di Stato (a cui dovrebbe andare il fedelissimo Antonino Turicchi, presidente di Ita) conferma quanta attenzione ci sia sul tema.
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Le assemblee del prossimo aprile rappresenteranno una prova del grado di maturità della compagine di governo, a seconda che si proceda a una lottizzazione stile Prima repubblica oppure se si andrà alla ricerca di manager con curriculum all’altezza.
I movimenti per individuare caselle e nomi sono già iniziati. L’attenzione è prima di tutto rivolta alle quattro big che vedono presidenti e amministratori delegati in scadenza, Eni, Enel, Leonardo, Poste. Appena un passo indietro Terna, Mps, Enav e poi a scendere una settantina di altre aziende. Va detto subito che i quattro amministratori delegati delle Big Four, Claudio Descalzi (Eni), Francesco Starace (Enel), Alessandro Profumo (Leonardo) e Matteo Del Fante (Poste) pensano tutti di avere buone chance di essere confermati per un nuovo mandato triennale.
Ma questa convinzione si scontra con la necessità per Meloni di rimarcare indipendenza e discontinuità rispetto alle gestioni precedenti, contrassegnate dalle stagioni del Pd e dei 5 Stelle al governo del Paese. Tra l’altro, due dei Big, Descalzi e Starace, hanno già tre mandati alle spalle, essendo stati nominati nel 2014 dal governo Renzi appena insediato dopo un solo anno di reggenza Letta. Renzi in quell’occasione fece l’en plein, piantando la sua bandierina non solo su Eni ed Enel, ma anche su Finmeccanica (Mario Moretti), Poste (Francesco Caio) e Terna (Matteo Del Fante).
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Difficilmente Meloni riuscirà a ripetere quell’exploit, ma alcuni orientamenti li ha già fatti trapelare. Premesso che è tradizione che i nomi definitivi vengano stabiliti solo a ridosso della presentazione delle liste, l’idea di Fratelli d’Italia al momento sembra essere quella di confermare Descalzi e sostituire Starace. Il primo viene considerato una pedina troppo importante per la politica energetica del Paese in questo momento, avendo contribuito a diversificare gli approvvigionamenti di gas dopo la crisi russa, il secondo invece era già entrato in rotta di collisione con il governo Draghi.
Il più accreditato per guidare l’Enel sarebbe Stefano Donnarumma, oggi ad di Terna nominato dal governo Conte I, entrato nel cuore della premier anche grazie ai buoni uffici del suo braccio destro Giuseppe Del Villano, storicamente legato agli ambienti della destra capitolina. Sono inoltre molto forti le pressioni del ministro della Difesa Guido Crosetto, uno dei fedelissimi di Meloni, per collocare Lorenzo Mariani (manager della controllata Mdba) alla guida operativa di Leonardo, accantonando così l’era dell’ex banchiere Alessandro Profumo, nata sotto il segno dell’ex premier Paolo Gentiloni. Sulle Poste, infine, le trattative sono ancora molto aperte: la premier deve decidere se accettare o no una sorta di patto politico con Matteo Renzi, che secondo alcune ricostruzioni in cambio della conferma di Del Fante potrebbe portare i voti dei senatori del terzo polo a supporto del governo nei momenti difficili.
Ma se questo fosse lo scenario, tutto da confermare, la domanda è: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi restano a guardare? Il leader della Lega ha già mandato un messaggio alla premier: «Le situazioni di Tim e di Enel dovranno essere attenzionate, valutate e accompagnate, perché abbiamo ereditato una situazione non brillante». Di certo non vorrà stare in panchina ad assistere alla presa del potere economico da parte di Fratelli d’Italia, così come il fondatore di Forza Italia.
A tutto ciò si aggiunge che si sta parlando di società quotate in Borsa, i cui cda dovranno avere l’approvazione anche degli investitori di mercato. «I quali ormai esercitano un’attenzione maniacale alla gender equality (si tende a mettere presidente donna e ceo uomo o viceversa), al profilo internazionale dei candidati, alle competenze Esg, in una sorta di matrice che deve essere allegata alle liste», conferma Lorenzo Casale, head of market Italy di Georgeson. Spetterà al Tesoro, che presenterà le liste insieme alla controllata Cdp, rispettare il più possibile questi criteri in modo che in assemblea le nomine dei vertici non passino soltanto con i voti dello Stato azionista ma, almeno in parte, anche con quelli del mercato.
Enel: prima per valore di Borsa è leader nelle rinnovabili
Un utile cresciuto una volta e mezzo, così come i dividendi. Ma anche un debito quasi raddoppiato. Non si può dire che negli ultimi nove anni, il gruppo Enel non sia cresciuto in tutto. L’azienda, sotto la guida di Francesco Starace, è diventata leader in Europa e Sud America, in particolare nelle rinnovabili, settore in cui è numero uno a livello globale. Allo stesso modo Enel ha intrapreso da pioniere la strada dei servizi innovativi, per l’efficienza energetica, così come per la mobilità elettrica.
I risultati dicono che i profitti sono passati dai 3 miliardi del 2014 ai 5-5,3 miliardi previsti per il 2022, con una punta massima a 5.6 miliardi l’anno scorso. La cedola, invece, è cresciuta sempre, da 0,14 centesimi per azione fino a 0,40. Così come gli investimenti in Italia, dove genera circa il 40% del fatturato: dagli 1,8 miliardi del 2014 si arriva ai 2,6 del 2019, con una accelerazione fino ai 4,9 per l’anno appena concluso.
C’è poi il tema indebitamento: nel 2014 ammontavano a 37,4 miliardi, quota rimasta costante fino al 2018. Salvo poi accelerare fino a raggiungere nel 2022 un livello tra 58 e 62 miliardi, come da ultime comunicazioni. Da qui il piano di cessioni per 21 miliardi, per ridurre il debito e mantenere crescita di utili e dividendi. Una mossa piaciuta al mercato e con la quale Enel ha riconquistato il primato di società a maggiore capitalizzazione di tutta Piazza Affari.
Eni: dopo aver dribblato quattro crisi, il 2022 porta un bilancio record
I nove anni di Claudio Descalzi all’Eni sono stati tra i più tormentati dalla fondazione (1953), con quattro gravi crisi. La prima, subito, col crollo dei prezzi petroliferi fino ai 27 dollari, per l’eccesso di offerta di Usa e Arabia Saudita. Poi la nuova sensibilità ambientale, che ha portato molte major a riscrivere le strategie, virando sulle rinnovabili, e nel 2020 Eni ha presentato un piano per azzerare, nel 2050, le emissioni sue e dei clienti. Poi la pandemia, a cui l’azienda ha risposto riducendo 8 miliardi di investimenti e cedole. Infine, dal 2021, i tagli al gas russo, che ha rimesso in cima all’agenda la sicurezza energetica.
Così nel 2022 Eni ha anticipato 4 miliardi di investimenti per nuove produzioni di gas, e rinegoziato le forniture in Algeria, Angola, Congo, Egitto, Libia. Per navigare nelle crisi l’azienda si è fatta più agile, migliorando l’operatività per preservare utili e dividendi. La soglia di convenienza delle estrazioni Eni è scesa da 127 dollari a barile del 2013 ai 40 di oggi. L’indebitamento si è dimezzato. E il bilancio Eni 2022, grazie al volo dei prezzi del gas venduto, sarà da record. Questa corsa a ostacoli ha portato a un accentramento del potere di Descalzi, che oggi non ha un delfino, malgrado i 67 anni e 41 di azienda. Anche per questo la sensazione è che Meloni, con qualche ritocco alla squadra di vertice, prepari per lui il quarto mandato, che ne farà il capo dell’Eni più longevo.
Poste: Più pacchi, meno raccomandate e ora arriva l’offerta per luce e gas
Meno corrispondenza e bollettini postali; la leadership nelle carte prepagate e in generale una crescita a due cifre nel settore dei pagamenti. Inoltre, un settore trainante (quello assicurativo, il primo per dimensioni), il comparto dei servizi finanziari che quasi marcia da solo e, infine, i pacchi, l’esplosione dell’e-commerce. Insieme alla prossima sfida: la rivendita di luce e gas su cui Poste dovrebbe esordire nel primo trimestre dell’anno.
Le Poste targate Matteo Del Fante, che si avvia a concludere il suo secondo mandato da ad, hanno vissuto una profonda trasformazione qualitativa; un po’ per inerzia (bollettini e corrispondenza sono passati dal 33% al 23% del fatturato, tra il 2017 e il 2021) e un po’ per virtù (i mercati in crescita, cioè pacchi, pagamenti e assicurazioni sono passati dal 23 al 34%). Trasformazione accompagnata da un netto balzo del risultato operativo: l’Ebit è passato infatti dal miliardo di euro del bilancio 2016 (Del Fante è stato eletto nell’aprile del 2017) all’1,8 di fine 2021. Mentre il 2022 dovrebbe chiudersi a quota 2,3 miliardi rispetto a una previsione di 1,9 miliardi.
Positivo anche l’andamento del titolo in Borsa: nell’aprile 2017 il gruppo valeva 8,2 miliardi, ora è intorno a 12,5 miliardi. L’utile netto invece è passato dai 689 milioni del 2017 ai 1,4 miliardi dei primi nove mesi del 2022. Più lineare il dividendo per azione passato dai 42 centesimi per azione nel 2017 fino ai 59 nel 2021
Leonardo: dagli elicotteri all’aerospazio ora punta a cloud e cybersicurezza
Alessandro Profumo, ad di Leonardo dal 16 maggio 2017, regala alla società il risultato netto migliore della storia. È quello del 2019, quando il gigante italiano della difesa, dell’aerospazio e della cybersicurezza centra un utile da 822 milioni. Nel 2012, il rosso era stato di 792. Di Leonardo piacciono gli elicotteri militari, come l’MH-139, il Lupo Grigio, che gli Usa comprano convinti; gli elicotteri senza pilota, soprattutto l’Hero (Sd-150). Ma anche i droni Falco Evo impiegati contro l’immigrazione clandestina ; e i software per le cyberguerre. L’anno dopo, nel 2020, il Covid bussa alla porta. Attiva in otto settori industriali, Leonardo costruisce anche componenti per aerei civili, dal Boeing 787 Dreamliner agli Airbus A220 e A321. Quando gli aeroporti si svuotano per la pandemia e le compagnie tagliano gli ordini di nuovi velivoli, ecco il bilancio di Leonardo appesantirsi.
Il 2020 si chiude con un utile, anemico, a 241 milioni. La turbolenza è intensa, ma breve. Profumo rivendica un altro attivo nel 2021 a 587 milioni. L’elettronica per la difesa fa il pieno di commesse, nel 2021 e anche nel 2022 che registra una semestrale a 267 milioni (+50,8%). Leonardo intanto diversifica anche nel cloud per i dati della PA (con Tim, Sogei e Cdp Equity). Tante cose tornano, alcune meno: il titolo – che era a 15,27 euro dopo le dismissioni dell’era Moretti, nel 2017 – oggi è a 8,91.