La squadra mobile di Nuoro ha arrestato due persone, la sorella di un detenuto e un agente carcerario. Gli arrestati sono Salvatore Deledda, 38 anni assistente capo della Polizia penitenziaria, residente a Siniscola, e Carmela Mele, 45 anni di Napoli, sorella di un detenuto nell’ala dell’alta sicurezza nel carcere di Badu e Carros.
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Il carcere è lo stesso dal quale il 25 febbraio fuggì il boss della mafia del Gargano Marco Raduano, calatosi dal muro di cinta del penitenziario con delle lenzuola annodate e di cui non si hanno più tracce dal 25 febbraio.
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di Giuliano Foschini
Nel corso di una conferenza stampa la procuratrice di Nuoro, Patrizia Castaldini, il questore Alfonso Polverino, il capo della Mobile Fabio Di Lella e il capo della Polizia penitenziaria del carcere nuorese, Amerigo Fusco, hanno specificato che le indagini su questa vicenda sono precedenti alla clamorosa fuga di Raduano e risalgono alla fine dell’estate.
Riguardano un passaggio di denaro per introdurre dei telefoni cellulari all’interno di Badu ‘e Carros. I due sono accusati di corruzione e introduzione illecita di telefoni cellulari all’interno di una struttura carceraria. I telefonini, spediti da Napoli dalla sorella di un esponente del clan camorristico Mele del quartiere di Pianura, erano destinati per la gran parte a detenuti in regime di alta sicurezza. Sono indagate altre quattro persone, a vario titolo, incluso chi ha collaborato alle spedizioni.
I soldi arrivavano tramite bonifici su carte prepagate. Gli investigatori hanno tracciato finora pagamenti per circa 2 mila euro a favore dell’agente indagato, l’assistente capo Salvatore Deledda, 37 anni, residente a Siniscola (Nuoro). Il suo comportamento nei mesi scorsi aveva insospettito i colleghi.
Le indagini, coordinate dalla procura di Nuoro, sono cominciate, dopo una segnalazione interna, lo scorso settembre, dunque ben prima della clamorosa fuga del boss pugliese della Sacra Corona Unita Marco Raduano. La Squadra mobile di Nuoro ha intercettato cinque pacchi sospetti, spediti da Napoli dalla sorella del detenuto Mele: ognuno conteneva due-tre microcellulari o smartphone destinati non solo al fratello, ma anche ad altri reclusi, le cui comunicazioni sono ora oggetto d’indagine.