Le varie rivoluzioni nei paesi islamici del medio-oriente NON sono una coincidenza.

L Italia puo’ essere, ed in parte gia’ lo e’, il centro della diplomazia e della possibile evoluzione PACIFICA di questi conflitti. Certo e’ che il Governo Berlusconi e’ assolutamente essenziale ad una risoluzione pacifica di questi conflitti, cosi’ come lo e’ per il conflitto tra stati arabi e ISRAELE. Pochi hanno compreso, ma sempre in numero maggiore (sia in Europa che negli USA) iniziano a intuire, il ruolo importante che l’Italia, sia come stato sinonimo del Cattolicesimo mondiale, sia come centro geografico del Mediterraneo, sia come mediatore neutrale tra stati islamici e Israele, sia come simbolo, nei secoli, di influenza Mediteranea e mediorientale.

DAI FARAONI AI DISCHI VOLANTI In che cosa crediamo?

Dalle piramidi dell’antico Egitto alle imponenti terrazze sopraelevate dei templi Maya del Centro America, ogni volta che gli esseri umani hanno pensato che in qualche modo il sole fosse l’origine della vita, sono giunti a considerarlo – o a venerarlo – come l’espressione manifesta di una forza superiore, tanto da erigere monumenti al potere divino che ritenevano scaturisse dal suo calore e dalla sua luce.

Quando, agli albori della storia umana, si è capito che i piccoli semi di frumento e granturco potevano essere utilizzati per far crescere altro grano e frumento, si è giunti ad attribuire un valore ai semi e al modo per farli crescere, venerando gli dei della pioggia e della fertilità agricola. Quando gli uomini e le donne iniziarono a dare valore ai bambini e alle famiglie numerose, elaborarono riti per rendere omaggio alla fertilità femminile, e svilupparono sistemi di credenze, più o meno corretti, incentrati sui bisogni da loro percepiti e sulle loro conoscenze limitate. Non vi è alcun dubbio che il modo in cui percepiamo la realtà contribuisce a formare la valutazione della realtà stessa. Le percezioni, le convinzioni e i valori sono pertanto interconessi.

Sin dai tempi più remoti e in ogni parte del mondo, tra i vari tipi di credenze profonde, senza dubbio le più forti sono sempre state quelle relative alla fede e alla religione. Recenti sondaggi hanno mostrato che il 73% degli europei crede in Dio o in qualche entità superiore, 80% crede in una qualche forma di vita dopo la morte e il 61% sostiene che sia necessario tollerare il credo religioso di altri popoli (ammesso che anche loro siano tolleranti nei nostri confronti). Le credenze, sia quelle basate su fatti reali e sia quelle basate sulla superstizione o su informazioni incomplete o erronee (ossia credenze fondate su assunti sbagliati), esercitano un grande influsso sui nostri atteggiamenti e valori.

Ma le credenze cambiano. Quando le condizioni della vita di un gruppo cambiano, o quando sviluppi sociali, religiosi o tecnologici rimodellano il vecchio sistema di credenze, allora vediamo realizzarsi anche una modificazione dei valori comuni, una specie di «evoluzione sociale» spontanea e durevole.

Ciò in cui crediamo – la nostra visione del mondo – è spesso il sostrato su cui costruiamo il nostro sistema di credenze e di valori. Quando capiremo meglio quei fenomeni che sono stati catalogati come Ufo (oggetti volanti non identificati) cambieremo la nostra visione dell’universo. In termini generali, le nostre convinzioni più profonde ci portano a trarre conclusioni sia sulle persone e sia sulle situazioni. Visioni del mondo diverse daranno vita a sistemi di valori diversi, e quindi a comportamenti diversi. Possiamo dare la priorità al fare piuttosto che all’essere. Possiamo dare un’importanza maggiore all’individuo o alla collettività. Possiamo vedere il mondo come un luogo emozionante, stimolante, oppure pericoloso e conflittuale. Ciò che crediamo (che sia valido o no) influenzerà sempre e comunque i nostri atteggiamenti e le nostre azioni.

Alcune persone pensano che gli eventi controllino la nostra vita e che l’ambiente modelli il nostro carattere. Non è vero. Vi risparmierò la storiella dei due fratelli con il padre alcolizzato, di cui uno diventa criminale e l’altro prete; oppure quella dei due prigionieri di guerra torturati in Vietnam, di cui uno si arrese (e fu poi ucciso) e l’altro decise invece di resistere e, uno volta ritornato in patria, divenne senatore. Le credenze personali sono interpretazioni generalizzate delle nostre esperienze passate (consce e inconsce). Sono una specie di presunto fenomeno di causa-effetto basato sull’interpretazione personale degli eventi. Più si ripete l’esperienza, o più viene rafforzata dagli altri (famiglia, amici, autorità), e più si radica dentro di noi.

Siamo noi a dare un significato agli eventi e alle esperienze. Ciò che le nostre esperienze significano per noi, è ciò che plasma il nostro atteggiamento e il nostro comportamento. Credere è un atto di volontà, è una decisione conscia o inconscia che influenza i nostri valori, le nostre norme e tradizioni. A volte possiamo ripensare continuamente a un evento e a quella che ne è stata la nostra interpretazione (un incidente, una circostanza in cui siamo stati umiliati), fino al punto da esserne ossessionati. Spesso scegliamo di adottare le opinioni di altre persone che rispettiamo (familiari, amici, colleghi, medici, professori, personaggi televisivi) anche senza che si fondino su un’esperienza diretta e, a forza di sentirle, ci convinciamo della loro effettiva validità. Gli esseri umani hanno il grande dono di saper creare significati e simboli. Attribuendo un significato agli eventi, diamo loro o non diamo loro importanza e peso. Come quando Gianni dice all’amico Mario: «Vedi quella bella bionda che mi ha sorriso? Le sono simpatico». E Mario: «No, stava sorridendo a me: è mia figlia».

Tutte le credenze sono essenzialmente di tipo culturale, nel senso che possono essere apprese, possono essere il risultato di esperienze personali o possono essere trasmesse dalla famiglia, dalle tradizioni e dalla società. Proprio come possiamo distinguere tra due tipi di percezione unici (il singolo e il molteplice), possiamo anche distinguere tra due tipi di credenze di base: la prima riguarda noi stessi, come vediamo la nostra immagine, chi reputiamo di essere; la seconda riguarda l’opinione del mondo esterno, come noi vediamo gli altri. Alcuni psicologi hanno detto che la credenza più potente è il nostro senso di identità e che questo è l’ultimo filtro di tutte le nostre percezioni. I cambiamenti del modo in cui percepiamo e valutiamo noi stessi causano cambiamenti nel modo in cui percepiamo e valutiamo gli altri; tutto ciò spesso ci porta a cambiare il nostro sistema di valori e il nostro comportamento. Facciamo scelte e agiamo in funzione di ciò che siamo e di come vediamo noi stessi. Queste credenze interiori (consce e inconsce) sono molto importanti perché sono quelle che usiamo per definire la nostra individualità, la quale ci rende unici e differenti dagli altri. Questa certezza di chi siamo (questa fede, se vogliamo), di che cosa possiamo o non possiamo fare, segna di frequente i confini del nostro comportamento. Gli atleti azzurri che salgono sul podio olimpico sono tutti molto sicuri di se stessi e delle proprie capacità atletiche. Nei marines americani e nelle forze speciali di molti paesi l’addestramento è equamente diviso fra addestramento fisico e addestramento della psiche.

Proprio come gli antichi romani (in particolare i cosiddetti stoici, che seguivano una rigida disciplina del corpo e della mente), molti – da coloro che praticano le arti marziali ai frati di clausura e agli sportivi professionisti, hanno imparato a disciplinare la propria mente e le proprie emozioni, al fine di controllare meglio il proprio corpo e superarne i limiti.

Più volte ci è stato detto, e la scienza lo ha dimostrato, che il potenziale umano è molto più grande di quello che effettivamente usiamo, e che molto del potenziale che usiamo dipende dal concetto che abbiamo di noi stessi, ossia dalla nostra auto-identità. Le azioni sono la conseguenza delle credenze e dei valori, e la maggior parte delle persone (spinta dal bisogno di armonia e coerenza, tipico della parte razionale del nostro cervello) si comporta secondo la visione che ha di sé, giusta o errata che sia.

Le convinzioni su se stessi sono primarie, nel senso che influenzano le idee che abbiamo degli altri e il rapporto che stabiliamo con il mondo. Ma non sempre. A volte, ciò che pensiamo degli altri, e come essi si comportano nei nostri riguardi, può determinare il giudizio che diamo a noi stessi. Un allenatore troppo esigente, un padre troppo severo, una madre troppo ossessiva possono distruggere gli animi di quei giovani che li stimano più del dovuto. Solo dopo aver formato una stabile auto-identità di base (in genere, dopo l’adolescenza) riusciamo a comprendere chi siamo, chi sono gli altri e come e che cosa scegliere. Cominciamo allora a formulare i nostri valori. Adottiamo, oppure rifiutiamo, opinioni altrui, e rinsaldiamo o ricusiamo regole e tradizioni. Infine, giungiamo a stabilire se una cosa è giusta, sbagliata o indifferente. Ovviamente, il bambino che giudica positivamente il latte materno e negativamente le sculacciate del dottore salta alcuni di questi stadi e lascia che la valutazione la operino i bisogni e l’intuizione.

Applicando le categorie binarie alle scienze comportamentali, arriviamo a una conclusione altrettanto importante. Come i cambiamenti nella percezione di sé (nell’auto-identità di un individuo) portano a cambiamenti nel proprio sistema di valori (e di conseguenza nel proprio comportamento), così i cambiamenti nell’auto-identità di un gruppo portano a modificazioni profonde nel comportamento nei confronti della propria e delle altre comunità. In Italia la Lega Nord ha avuto l’enorme merito di rinvigorire le identità etniche delle comunità locali. E come una comunità di persone cambia la percezione della propria identità e sviluppa nuove convinzioni relativamente all’auto-identità e all’immagine che ha del proprio rapporto con gli altri (l’Iran prima e dopo lo scià, la Jugoslavia prima e dopo Milošević), così i suoi valori rifletteranno il passaggio alla nuova identità, trasformando progressivamente il suo comportamento nei confronti di altre comunità.

In conclusione, ci sono poche forze più potenti e maggiormente capaci di plasmare il comportamento umano dell’auto-identità, sia essa individuale o relativa alla collettività con la quale si identifica l’individuo. Un consiglio: esercitarvi a usare tale strumento (migliorare la vostra auto-identità) per modificare il vostro comportamento e il vostro destino.

Qualcuno potrebbe domandare: come posso cambiare me stesso se non ho mai avuto certe esperienze positive? La risposta è che l’auto-identità non si limita alla nostra esperienza. Semmai, è l’interpretazione che noi diamo alle nostre esperienze a limitare la percezione di chi siamo. Alberto Sordi era un grande maestro nel trasformare una situazione vergognosa in una situazione vincente. Sordi, nei panni di quel romano che cercava sempre di arrangiarsi, riusciva a trovare e a dare un significato positivo anche alle azioni più deplorevoli. In tanti film, Sordi, dandosi delle arie, esasperando se stesso, creava un’energia che gli permetteva di combinare cose che altrimenti (quando era depresso e debole) non sarebbe riuscito a fare. Quando il personaggio di Guido, nel film di Benigni La Vita è bella, marcia verso la morte con un sorriso, lo fa per suo figlio, e trova la forza di agire in modo normale e allegro pur trovandosi in un ambiente infernale.

La nostra identità è determinata in gran parte dalle decisioni che prendiamo in merito a chi siamo e a chi vogliamo essere, e dalle etichette con cui decidiamo di identificarci. Questo definisce anche il nostro modo di vivere. In conclusione, possiamo trovare una risposta in linea con il nostro approccio relazionale. Possiamo dire che l’auto-identità è il prodotto di due elementi complementari e interrelati: il senso innato di sé derivato dal nostro patrimonio genetico (l’«uno»); e la totalità delle esperienze consce e inconsce (il «molteplice») e quella che ne è la nostra interpretazione, del tutto unica e personale.

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