POTENZA – Siamo scesi nell’inferno del Sud devastato, l’abbiamo solcato toccando i resti di poveri paesi e di città pericolanti, tra mucchi di cadaveri, lamenti dei feriti, grida della gente. L’allucinante itinerario comincia dopo Grottaminarda, un mucchio di calcinacci a pochi chilometri da Avellino, prosegue lungo le strade che portano a S. Angelo dei Lombardi, Pescopagano, Muro Lucano, fino a Balvano. Quattro province fra la Campania e la Basilicata che ieri notte sono state devastate dal terremoto. Dicono che questa terra non sia più terra ma un enorme campo di sterminio. Dicono che sotto le macerie sia rimasta prigioniera tanta gente, in alcuni casi oltre la metà della popolazione. Un bambino mi prende per mano e mi dice di cercare la sua mamma. Dove? Non risponde, si allontana, ha gli occhi grandi e secchi.
Quanti morti? Le cifre rimbalzano, ma nessuno se ne interessa. Vediamo centinaia di persone che si affannano come formiche, tendere l’orecchio ai lamenti, sollevare massi più grandi di loro. Se l’inferno è questo, è orrendo. «Vuoi vedere che l’ha preso Lagorio: anche lui doveva andare in giro» fa Pastorelli. Funzionari e autisti si allontanano in cerca di notizie. Zamberletti sbuffa e si sfoga: «Tutte queste visite ufficiali… il ministro dell’Interno va benissimo, ma adesso sta per arrivare il papa: il prefetto e centinaia di ufficiali sono mobilitati…». Gli chiediamo del piano generale che doveva scattare, anzi che è scattato, come ha detto la radio. «Ma quale piano generale, ognuno ha il suo e tutti si scontrano tra loro. Poi due prefetture, quella di Avellino e di Potenza, sono state colpite dal terremoto, qualcuno ha perso un po’ la testa. In questo Paese le catastrofi arrivano puntuali ogni cinque anni. Si doveva creare un’organizzazione stabile, preparata al peggio. Invece si sono fatti i convegni».

Arriva finalmente l’elicottero. Ci imbarchiamo dirigendoci verso Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni. Intanto Zamberletti spiega come funzionerà l’organizzazione dei soccorsi: diciamo che è una struttura piramidale composta da centri operativi interforze e cioè di autorità civili, militari, vigili, Croce Rossa, eccetera. La base è composta dai centri operativi riuniti intorno al sindaco e al Comune. Più sopra ci sono quelli delle prefetture. In cima alla piramide Zamberletti che dirige Comiliter di Napoli. Passiamo sopra Avelino: il centro storico è disastrato. Sulla sinistra il santuario di Monte Vergine, che non è stato toccato. Attraversiamo la zona di Montella. Molte case, soprattutto quelle sparse nella campagna, sembrano intatte. Altre a distanza di poche centinaia di metri, completamente rase al suolo. «Dipende dalla falda tettonica attraversata dal sisma», dice Pastorelli: il terremoto ha operato come un torrente in piena. Siamo su Lioni, su Sant’Angelo dei Lombardi. Si distinguono chiaramente i grandi crolli che hanno subìto soprattutto i vecchi centri dei paesi. Poi l’elicottero torna indietro con un grande semicerchio spingendosi verso il Serino.
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di Giuseppe D’Avanzo
20 Febbraio 2025

Zamberletti sembra stupefatto dall’assenza delle colonne di soccorso. «Com’è possibile? Qui si vede appena il 5 per cento delle forze che c’erano nel Friuli». Sorvoliamo ancora numerosi paesi. Il comandante dell’elicottero perde il punto e nessuno riesce a capire dove siamo esattamente. Avvistiamo un paese anch’esso completamente distrutto: qualcuno dice che è Borgo, qualcun altro Montoro. Invece è San Michele, ci passiamo sopra per la seconda volta, molto più bassi. Zambrletti mormora cupo: «Finalmente vedo una campagnola». Scendiamo al campo sportivo di Avellino. Zamberletti è atteso al centro operativo, ma Pastorelli lo trascina prima al comando dei vigili del fuoco. Al comando Zamberletti si incontra con l’ispettore generale Pierro. «Senta Pierro», fa il commissario «io non ho visto una tenda in giro, ma dove dormono gli scampati?». «Credo all’addiaccio» risponde l’ispettore, senza scomporsi «sa, tutta la parte assistenza è in alto mare. Ho dovuto dire a Roma di non mandarmi gente che non sia inquadrata in colonne mobili e autosufficienti. Qui continuano ad arrivare ragazzi col picconcino e basta». «Ma le tende?…». «Ne sono state spedite seicento, ne servono diecimila». «Ma tutte le colonne si sono mosse?». «La Lombardia è rimasta ferma, in attesa di essere destinata. La colonna mobile della Sicilia è arrivata solo in parte…».

Mentre usciamo dal comando qualcuno ci informa che un chirurgo di Milano, Senigallia, dell’Ospedale Maggiore, arrivato a Napoli con un’équipe di undici persone – infermieri specializzati in ortopedia, anestesisti – non riesce a raggiungere le zone terremotate per mancanza di mezzi: «Si può fare qualcosa?». Il centro operativo sta in una caserma, dove non c’è acqua e i gabinetti sono inagibili per il fetore. Si mangia quello che si trova: tutti i negozi di Avellino sono chiusi, la birra viene pagata come lo champagne. Mentre Zamberletti incontra il prefetto e alti ufficiali e uomini politici, andiamo al centralino con la speranza di telefonare. «Eh dottore», si scusa il telefonista di turno, «si è rotto il disco, il centro operativo può ricevere, ma non fare telefonate».
Ritorniamo dal commissario straordinario che ha già iniziato la riunione. «La gente non può continuare a dormire all’aperto o in auto», sta dicendo Zamberletti, «il mio piano è che i bambini vadano subito sistemati in qualche edificio, la popolazione non attiva comunque deve essere evacuata in paesi dove si trovino degli alloggi. Per quelli che non sono in condizioni di muoversi ci vogliono le tende». Intorno a un tavolo lo stanno a sentire un generale dell’esercito, il prefetto, assessori vari, ufficiali dei carabinieri. Arriva Nicolazzi il ministro dei Lavori pubblici che assicura il «massimo apporto». Arriva Ciriaco De Mita – questa è zona sua – cupo in volto che si siede raccontando di aver visitato paesi privi di qualsiasi aiuto: «Che disastro, che disastro». Mente il commissario continua a spiegare che bisogna dare la sveglia a tutti, si presenta un altro generale. «Sono Di Furia, comandante del Genio di Napoli» dice il generale «non riuscivo a comunicare col centro operativo. Sono allora venuto di persona, non sapevo di questa riunione…però, visto che sono qui…». E da una cartellina di cartone tira fuori alcuni dati da cui risulta che il gruppo specializzato da lui diretto può contare solo su un paio di ruspe. «Ma come», fa uno dei presenti, «ci avevano detto che sarebbero arrivati o erano già arrivati 250 mezzi?».

Si comincia a fare un po’ i conti. «Abbiamo spedito centinaia di migliaia di razioni, ventotto cucine da campo…» elenca Pastorelli. «Veramente di cucine da campo ne è arrivata una sola» gli rispondono «non sappiamo nemmeno da dove». Di Furia, rimasto in silenzio per qualche minuto, riprende la parola: «Non si riesce a parlare al telefono, le nostre linee vanno privilegiate: lo dirò subito alla Sip». A queste parole De Mita, un po’ agitato, si alza in piedi: «Sono le stesse parole che ieri mi ha detto un altro generale: farò, provvederò, poi non ha combinato nulla. Qui ci deve essere qualcuno che dia veramente degli ordini, ma non un generale, perché nessuno lo sta a sentire». La riunione è finita. Zamberletti saluta ed esce, mormorando: «Che impressione ha avuto? Ce la faremo ce la faremo, basta che non si metta a piovere».