Olimpiadi, record di medaglie. Fantastica Italia, superato il mito di Roma ’60

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TOKYO – A gennaio la Rai aveva lanciato una trasmissione di sport innovativa: Tutto il calcio minuto per minuto. A marzo era uscito al cinema La dolce vita di Fellini, e subito partirono le richieste di censura. Cinque giorni prima delle Olimpiadi, fu inaugurato l’aeroporto di Fiumicino, porta aperta verso il mondo dell’Italia che aveva ricostruito città e industrie sulle macerie fumanti del dopoguerra. Dici Roma 1960, e ti si apre un mondo, una visione del passato, del boom economico, del benessere ritrovato e delle vittorie italiane in un’edizione indimenticabile. Qualcosa che sembrava perduto per sempre e consegnato alla vetrina dei ricordi come quel logo in bianco e nero, la lupa sopra la scritta MCMLX e i cinque cerchi olimpici. Invece no, sessantuno anni dopo, ricorrenza zoppa a causa del rinvio per pandemia, l’Italia si riallinea con quei giorni fantastici e supera le 36 medaglie che sembravano irripetibili in epoca moderna.

Un’edizione piena di promesse per il paese che rialzava la testa: chi le visse, sa esattamente cosa stava facendo il pomeriggio in cui Livio Berruti vinse i 200 metri col record del mondo, come è probabile che nel 2082 qualcuno ricorderà cosa faceva la mattina (italiana) in cui Tamberi e Jacobs si abbracciarono allo stadio olimpico di Tokyo.

La calura di Sapporo di Antonella Palmisano e Massimo Stano, al posto dell’Appia Antica di Abebe Bikila: è blasfemo? Oppure se c’è un’occasione per avvicinare la mitologia di quel fantastico 1960 è questa? Anche perché nel 1960 non solo il mondo era diverso – a novembre sarebbe stato eletto presidente John Fitzgerald Kennedy – ma soprattutto l’Olimpiade era diversa, quindi gli avversari erano meno rispetto a oggi e tutto era più semplice. L’ultimo evento umano, come viene spesso definito, contro l’evento sterminato di oggi.

A Roma c’erano ottantatré nazioni, a Tokyo ce ne sono 206 più il team dei rifugiati. Tra l’Olimpico, il Palaeur e la Basilica di Massenzio mancava un paese di un certo spessore come la Cina, che apparve solo ventiquattro anni dopo a Los Angeles ’84, e oggi tiene testa agli Stati Uniti nella caccia al podio mentre si prepara a organizzare una seconda Olimpiade a Pechino.

Dettava legge l’Unione Sovietica, prima di frammentarsi in 15 nazionali zeppe di campioni. Paesi che nemmeno esistevano nel ’60 sono in grado di vincere una gara, se a Roma conquistarono una medaglia 44 nazioni, oggi siamo saliti a 88, esattamente il doppio. Un mondo sempre più grande, e un’Italia sempre più piccola nelle dinamiche della geopolitica e della finanza globale.

Prima di queste giornate che, almeno nello sport, ci stanno riportando al centro di un’Olimpiade storica, la più difficile di sempre, che sarà ricordata anche come una sfida alla pandemia. Un segno di rinascita, un rialzare la testa che si spera avvenga anche in altri settori del paese. Nel 1960 Livio Berruti all’Olimpico e Franco Menichelli alle Terme di Caracalla dimostrarono che gli azzurri potevano contare, o addirittura vincere, in discipline come la velocità e la ginnastica dominate da americani o sovietici. Aprendo la strada a delfini come Pietro Mennea e Jury Chechi.

Si aprirà un sentiero magico anche per chi vuole saltare come Tamberi, nuotare come Paltrinieri,  andare in bici come Ganna o in barca a vela come Tita-Banti? E visto che Roma 1960 sembra finalmente avvicinabile, c’è una nuova Dolce Vita da andare a vedere al cinema col green pass?

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