Descrive una Kabul senza speranza che ricorda Saigon del 1975, con la corsa alle ambasciate per fuggire prima della caduta e salire su uno degli aerei che si preparano a evacuare gli stranieri dalla capitale. Il chirurgo cinquantenne chiede di non dire il suo nome. È praticamente barricato nel suo ambulatorio, dove da anni salva vite in un paese che da tre generazioni non conosce pace: si occupa soprattutto dei bambini, le vittime più fragili delle mine sparse ovunque o quelli che nascono con malformazioni. Nel 2012 la struttura è stata distrutta. Data alle fiamme perché quel lavoro dava fastidio: anche le cure sono un’offesa per i fondamentalisti, se vengono distribuite con il sostegno degli “infedeli”. Ma lui non si è arreso e l’ha rimessa in piedi. Ora invece è affranto: si è spezzato ogni sogno di normalità e vede crollare la speranza.
Kabul è assediata, le altre città sono già cadute nelle mani dei talebani. Come sta vivendo questa catastrofe?
“Sono molto preoccupato, non solo per me e per il mio staff, ma per tanti bambini. In questi anni abbiamo potuto salvare molti di loro e adesso non sappiamo se potremo farlo ancora. Chi nasce con una malformazione viene spesso tenuto nascosto per superstizione: la ritengono una vergogna e il segno di una maledizione. In particolare quelle sul volto, come il labbro leporino. Opero oltre 1.200 piccoli ogni anno ridando loro il sorriso e ora con l’arrivo dei talebani non so se sarà più possibile. La situazione è a un punto di non ritorno. Temo la chiusura dell’ambulatorio e le ritorsioni sulla mia famiglia e i miei collaboratori”.
Perché dovrebbero colpire dei medici?
“Odiano gli afgani che lavorano con gli occidentali. E io da 12 anni opero con Emergenza Sorrisi, la ong italiana che assiste i bambini affetti da malformazioni al volto e labio-palatoschisi. Poche settimane fa avevamo in programma una missione a Mazar-i-Sharif. Ora anche nella città della Moschea Blu, un tempo base dell’ex alleanza del Nord, i talebani hanno sfondato. Il Paese sta collassando. Le ripercussioni possono essere non solo su di me, ma anche sulla mia famiglia. Ho una figlia e sognavo per lei un futuro di studi. Ma loro vietano l’istruzione alle ragazze. E circola voce sul fatto che i talebani costringano le famiglie a consegnare le giovani per darle in sposa ai combattenti”.
Vorrebbe lasciare l’Afghanistan?
“Mi dispiace, è la mia terra, ma a questo punto non ho scelta. Vorrei trovare un posto sicuro, magari in Italia dove mi sono formato come chirurgo. Quello che mi sta deludendo è che i governi occidentali non abbiano pensato di tutelare e proteggere le persone che hanno collaborato con loro così a lungo. Se ne vanno tutti e ci lasciano soli”.
Si aspettava che la situazione precipitasse così velocemente?
“Purtroppo sì. Il governo che hanno creato era molto debole e corrotto. Proprio la corruzione ha permesso ai talebani di crescere e prendere il sopravvento. Per questo non c’è stata resistenza. Sono stati compiuti tanti errori e il risultato è che tutto è andato a rotoli. L’aviazione afgana, ad esempio, che doveva garantire la supremazia ai governativi si è fermata perché la manutenzione la facevano gli americani che sono andati via”.
Che futuro vede per il suo Paese?
“Oggi è molto difficile immaginare la parola futuro”.