Donne e militari, primi segni di resistenza al potere dei talebani

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Dopo che gli scontenti del regime hanno sfidato i talebani nel giorno dell’indipendenza, sventolando in buona parte del Paese la bandiera nazionale, simbolo di provocazione delle nuove generazioni, le roccaforti dei fondamentalisti a est sembrano traballare. Le forze della resistenza hanno rivendicato Puli Hisar, Banu e Dih-Salah, tre distretti della provincia di Baghlan. 

Mentre le forze anti-talebane si stanno ammassando nella valle del Panshir, nelle ultime 48 ore il popolo afghano ha cominciato ad alzare la voce. Ha sfilato per le strade di Kabul e nell’Afghanistan orientale. Al momento dietro al movimento di protesta non sembra che ci sia qualcuno che detta le regole, ma solamente la voglia e il coraggio di un popolo che marcia e canta per la libertà. Con in prima fila le donne. Una forza d’urto cosi dirompente che ha sorpreso i nuovi “padroni dell’Afghanistan”, da Kabul, in quella piazza Abdul Haq intitolata a un comandante anti-talebano, a Jalalabad, dove è stata distrutta la bandiera bianca dell’Emirato Islamico. Nelle province di Nangarhar e Khos, le autorità talebane hanno istituito un coprifuoco di 24 ore dopo che le proteste erano diventate difficili da controllare. Diverse persone sono state uccise ad Asadabad, la capitale della provincia di Kunar al confine con il Pakistan, il cui governo non vede certo di buon occhio le dimostrazioni di piazza, soprattutto quelle vicine al suo confine. 

La paura del passato nei confronti dei “guerriglieri barbuti” sembra sia stata messa da parte. La nuova generazione è sicuramente più coraggiosa. In questa fase di prudente silenzio, non è da escludere la formazione di sacche di resistenza fuori dai confini, formata da militari afghani scappati dal Paese prima dell’entrata dei fondamentalisti. 

Molti membri delle forze speciali afghane sono stati giustiziati a sangue freddo dai talebani al grido di “Allahu Akbar” (ieri un video ha mostrato l’esecuzione del capo della polizia di Badghis). Ma altri sono riusciti a fuggire in Tagikistan, a luglio circa 2mila hanno attraversato il confine. Un funzionario del governo uzbeko ha dichiarato che 46 aerei, 24 elicotteri, e 585 piloti afghani sono arrivati nella capitale Tashkent con i loro aerei dopo la caduta di Kabul. Inoltre, un certo numero di ufficiali militari ha abbandonato il Paese dopo aver ricevuto offerte per trasferirsi negli Usa e in Germania. 

Mentre all’aeroporto di Kabul continua il caos, i due fronti si organizzano. Da un alto si segnala la presenza a Kabul di Khalil Haqqani, membro di spicco dell’omonima rete terroristica, tra i most wanted dagli Usa (sul suo capo pende una taglia da 5 milioni di dollari): ha parlato ai fedeli nelle principale moschea durante la preghiera del venerdì. Dall’altro, i video che provengono dalla valle del Panshir, la roccaforte delle milizie dell’Alleanza del Nord, mostrano incontri tra i leader dell’opposizione e membri del governo deposto. 

Il vicepresidente Amrullah Saleh, che si è autoproclamato presidente ad interim dopo che Ashraf Ghani è fuggito dal Paese, il ministro della Difesa Bismillah Mohammadi ed Ahmad Massud, figlio del famoso leader dell’Alleanza del Nord Ahmad Shah Massud. Anche il generale Haibatullah Alizai, comandante delle operazioni speciali, le uniche forze militari che hanno contrastato i talebani nelle ultime settimane, definito “uomo di guerra”, ha raggiunto l’enclave a nord di Kabul. Forti le sue parole al suo arrivo: «La resistenza nazionale continua nella culla della resistenza, contro il gruppo dell’ignoranza e del terrore. La vittoria è nostra». 

Il Panshir è l’unica provincia non caduta in mano ai talebani, una vallata impenetrabile che ha più volte giocato un ruolo decisivo nella storia dell’Afghanistan, grazie alla sua posizione geografica che la chiude quasi completamente. L’unico punto di accesso è attraverso un passaggio creato dal fiume Panshir, che può essere facilmente difeso. 

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