Previsto quasi al dettaglio dall’intelligence e temuto, paradossalmente, sia da forze occidentali e dai civili afghani ad esse legate che cercano di fuggire dal Paese che dai talebani, è arrivato l’attentato che ha insanguinato l’aeroporto di Kabul.
“Un grande attentato con quattro autobombe”: il fattore “K” dell’Isis minaccia l’Occidente
di
Carlo Bonini
25 Agosto 2021
Tutti i sospetti sono immediatamente ricaduti sul ramo locale dell’Isis, lo Stato Islamico nel Khorasan, il nome storico della regione che comprende l’Afghanistan ma anche parte di Pakistan, Iran e altri paesi dell’Asia Centrale, altresì noto come Islamic State Khorasan (Isk).
È troppo presto per avere conferme, ma Isk è senza dubbio l’indiziato più logico. Il gruppo nasce nel 2014, quando il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi è all’apice e incentra la sua strategia di espansione globale nella creazione di affiliazioni (“province” nel gergo del gruppo) in vari continenti. A fondare Isk sono un nucleo di fuoriusciti dei talebani pachistani (Tehrik-e-Taliban Pakistan), ai quali presto si aggiungono disertori di altre milizie jihadiste afghane e pachistane.
Il gruppo non ha vita facile, dovendo combattere simultaneamente contro tre nemici. In primis contro gli americani, che lo colpiscono con l’implacabile freddezza di aerei e droni: muoiono così in successione tra il 2016 e il 2018 i primi quattro leader del gruppo.
Allo stesso tempo Isk viene anche periodicamente attaccato dall’allora relativamente efficace governo afghano. Ma è coi talebani che combatte le battaglie più serrate. Nonostante adottino un’ideologia pressoché comune, i due gruppi sono ai lati opposti di un conflitto che da anni ha spaccato il jihadismo globale: i talebani, infatti, sono alleati e protettori di Al Qaeda, la vecchia generazione del jihadismo a cui il network dell’Isis vuole sottrarre la primazia del movimento.
Che cos’è l’Isis-K e perché i talebani sono loro nemici
26 Agosto 2021
Isk non può certo competere coi talebani per il controllo del Paese – il gruppo conta al massimo duemila effettivi e le sue azioni si limitano perlopiù ad attentati ed operazioni paramilitari – ma rappresenta comunque una delle più grandi incognite per l’Afghanistan dei prossimi mesi.
Il mondo che ruota intorno all’Isis ha visto l’ascesa dei talebani come una pericolosa vittoria del qaedismo, da contrastare in tutti i modi. Una serie di attentati tipo quello di ieri otterrebbero quindi il doppio risultato di minare l’immagine tanto curata dai talebani di portatori di ordine e stabilità e, al tempo stesso, allarmare e potenzialmente rallentare la ritirata delle forze occidentali dal Paese: cosa che rappresenterebbe un altro smacco per i talebani.
I talebani sono consci del pericolo che il pur piccolo Isk porta per il gruppo. Non a caso il giorno stesso in cui sono entrati a Kabul hanno ucciso uno dei leader del gruppo rivale che era detenuto dal governo afgano nel carcere di Pul-E-Charki, conquistato nelle prime ore di avanzata sulla capitale. Ma se in passato i talebani potevano cinicamente “delegare” le operazioni contro Isk ad americani ed al governo afghano, oggi questa strada non è più praticabile.
Siamo nel campo delle ipotesi, ma esiste quindi uno scenario-incubo in cui l’Afghanistan si trasforma nel principale campo di battaglia del conflitto intra-jihadista che da ormai un decennio spacca il movimento a livello globale: talebani, Al Qaeda, il network di Haqqani e altri alleati da una parte, Isk rinforzato da membri dello Stato Islamico da altre parti del mondo che, dissolto il Califfato, ritrovano nell’Afghanistan un centro di gravità.
Uno scenario che presenta ovvie ripercussioni drammatiche sul popolo afghano e sulla sicurezza globale.
Lorenzo Vidino è il direttore del Programma sull’Estremismo alla George Washington University