Tutti gli uomini del Cavaliere. I delfini scaricati da Berlusconi

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Di candidati alla successione ne sono passati molti, ma nessuno è mai riuscito a persuadere Silvio Berlusconi. Del resto, non è un tipo facile, il Cavaliere, pretende quella fedeltà che in politica è riuscito ad ottenere solo da chi non ha mai avuto ambizioni di leadership o istituti parricidi. Gli altri si sono sempre dovuti accontentare di un limbo fatto di pacche sulle spalle, battute o di qualche pranzo a Villa Certosa. È successo anche qualche giorno fa, quando il Cavaliere ha deciso di convocare presso la residenza estiva il presidente Giovanni Malagò per sondare una sua disponibilità a guidare Forza Italia. “No, grazie”, è stata in sintesi la risposta del presidente del Coni. Berlusconi ha deciso davvero di trovare un leader a Forza Italia? Dall’ex missino Gianfranco Fini, passando per il breve ma intenso Stefano Parisi, fino al fuoco di paglia Giovanni Toti e senza dimenticare il senza quid Angelino Alfano, tutte i nomi affacciati in passato si sono rivelati fuochi di paglia.

Berlusconi vede Malagò: “Forza Italia guidala tu”. Ma il capo del Coni dice no

di

Tommaso Ciriaco

Marco Mensurati

26 Agosto 2021

Gianfranco Fini 

Il flirt inizia nel 1993. Silvio Berlusconi è ancora un rampante imprenditore milanese (la discesa in campo avverrà l’anno dopo, nel 1994). Il Cavaliere si trova nei pressi di Bologna per inaugurare un centro commerciale. Un cronista gli mette il taccuino sotto  al naso e domanda: “Se lei votasse a Roma chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini?”. “Certamente Gianfranco Fini”, risponde il presidente di Fininvest. Nella capitale vinse Rutelli, ma quella risposta si rivelerà il primo mattone del centrodestra immaginato da  Berlusconi: dentro tutti, dai leghisti di Bossi ai post-fascisti di Fini. Il rapporto tra i due durerà altri 17 anni. In mezzo c’è la vittoria del 1994, l’elezione a deputato dell’ex missino, la nomina a presidente della Camera e la nascita del Pdl, la grande  casa del centrodestra. A Fini non è mai piaciuta l’idea di un partito unico, a malapena digerisce la federazione del centrodestra. E comincia a nutrire diversi malumori nei confronti della gestione partito. La tensione arriva al culmine con il Consiglio nazionale del Pdl. Berlusconi attacca Fini che si alza e pronuncia la frase rimasta celebre: “Che fai mi cacci?”, è l’epilogo di un rapporto ventennale. Il presidente della Camera si alza in piedi e se ne va. In Forza Italia non farà mai più ritorno.

Angelino Alfano 

Inizia tra le fila siciliane di Forza Italia. Nel 2001 viene eletto alla Camera, ma è nel 2008 che mette a segno il colpaccio. A soli 38 anni diventa ministro della Giustizia nel governo guidato da Silvio Berlusconi. È il più giovane Guardasigilli della storia e ormai la sua strada all’interno di Forza Italia sembra già segnata. Viene dato per scontato che sarà lui il nuovo leader designato dal fondatore in persona. Nel 2011, incalzato dalla crisi finanziaria, Berlusconi è costretto a farsi da parte per lasciare spazio al governo tecnico di Mario Monti. Il leader fa un passo indietro anche dentro Forza Italia, e per Alfano arriva la svolta: è il nuovo segretario di Forza Italia. Durerà appena un anno la gloria del nuovo leader del centrodestra, fino alle parole pronunciate da Silvio Berlusconi a margine di un incontro a Bruxelles: “Alfano è bravo, gli vogliono tutti bene, però gli manca il quid”. Da qui inizia la parabola forzista del delfino senza quid. Berlusconi nel 2013 è di nuovo leader e inaugura la stagione delle larghe intese con Il Pd. Il patto si rompe e Angelino Alfano, allora vicepremier e ministro degli Interni, decide di continuare l’esperienza di governo con il centrosinistra. Attraverso una manciata di parlamentari, nei governi Letta e Gentiloni, riesce a prendersi il Viminale prima e la Farnesina poi. Conclusa la scorsa legislatura si ritira a vita privata, ma non prima di aver battuto un primato: 1836 giorni da ministro, record nella storia repubblicana.

Centrodestra, Salvini spinge per la federazione. E posta una foto con Berlusconi (e la maglia del Milan)

21 Agosto 2021

Giovanni Toti 

Con un passato nel Psi, l’attuale presidente della Liguria nasce come giornalista. Dirige due dei principali tg della galassia Mediaset: Studio Aperto e Tg4. Gli manca solo il quinto canale, ma lo spirito aziendalista lo fa entrare nell’entourage del Cavaliere che nel 2014 decide di candidarsi Parlamento europeo. Un trionfo, tanto da spingere Berlusconi un anno dopo a sceglierlo come candidato alla presidenza della Regione Liguria. Con l’immagine pragmatica di “uomo del fare”, Toti ora è considerato l’anello di congiunzione tra il centrodestra moderato e il sovranismo a trazione leghista. Nel 2020 viene confermato governatore. Succede a due anni dal crollo del ponte Morandi e un anno dal suo addio a Forza Italia in aperta polemica con Berlusconi. Toti era pronto a prendersi la leadership del partito: aveva chiesto l’azzeramento della classe dirigente di Forza Italia e primarie aperte. Proposte di cui l’ex premier non vuole sentir parlare. “Mi pare non ci sia la volontà di cambiare alcunché”, dice Toti prima di lasciare il partito. Deluso fonderà Cambiamo! nel 2019 e, insiema al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, nel 2021 da vita a Coraggio Italia. Ad oggi è rimasto ben poco di quegli spruzzi di leghismo che lo accreditano sul palco di Pontida. Oggi Toti, convinto sostenitore della vaccinazione e del Green pass, viaggia su binari moderati.

Stefano Parisi 

L’uomo giusto al momento sbagliato. Sì, perché se Parisi fosse capitato quando a guidare il centrodestra era Berlusconi, forse le sue sorti sarebbero state diverse. Si presenta alle lezioni di Milano del 2016 con un profilo da manager e uomo di Confindustria. Con l’appoggio di tutti i partiti di centrodestra, al primo turno sfiora la vittoria per un punto. Al ballottaggio non va meglio: arriva due punti sotto Beppe Sala. Ma è il periodo dell’ascesa del sovranismo in Italia, dove persino area liberal-popolare di Berlusconi finisce sotto l’ombra del Carroccio guidato da un Matteo Salvini tutto felpa e comizi. “Parisi cerca di avere un ruolo nel centrodestra, ma avendo questa situazione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo”, è costretto ad ammettere Berlusconi. Ma l’ex manager insiste, è convinto che ci sia ancora spazio per un’area liberale e moderata. Così si rimbocca le maniche e fonda Energie per l’Italia con cui sfida – insieme al centrodestra – Nicola Zingaretti per la carica di governatore del Lazio. Va male di nuovo, anche questa volta manca la vittoria per poco più di un punto. Entra in consiglio regionale, ma lo abbandona nel 2020, dando così il suo addio alla politica: “Torno al mio lavoro”. 

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