Emergenza profughi, Europa divisa sul grande esodo dall’Afghanistan

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BERLINO – Dopo il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, Angela Merkel ha ribadito che bisogna capire “come parlare con i talebani” e ha precisato di voler “eventualmente rafforzare temporaneamente la presenza a Kabul o nella regione per garantirci un dialogo” con i nuovi padroni dell’Afghanistan. La cancelliera ha detto che ne sta parlando con Francia, Italia, Regno Unito e Paesi Bassi. 

Ma intanto, a Islamabad, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas sta incontrando qualche resistenza negli incontri con i vertici del governo pakistano e con il premier Imran Khan. Ieri è partito per un viaggio di quattro giorni nei Paesi dell’area – le altre tappe sono Uzbekistan, Tagikistan e Qatar – per garantire aiuti sufficienti per far fronte all’esodo dei profughi afghani. Ed è chiaro che questi Paesi stanno già alzando il tiro: l’ambasciatore pakistano in Germania Mohammad Faisal ha detto stamane che Islamabad “non accoglierà altri profughi”. 

La Germania ha già promesso 100 milioni di euro per gli aiuti umanitari in Afghanistan e altri 500 milioni per i Paesi confinanti, ma in queste ore l’agenda dei loro governi si sta riempiendo anche di appuntamenti europei. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha già fatto saper via twitter di aver parlato con il premier turkmeno Gurbanguly Berdimuhamedov, con l’uzbeko Sadyr Japarov e con il kirghiso Shavkat Mirziyoyev. 

Intanto il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn ha chiesto alla Ue “di prevedere tra i 40 e i 50mila ricollocamenti” di rifugiati afghani. Ma la sua richiesta si scontra con quella dei falchi come l’Austria: il responsabile degli Interni Karl Nehammer ha fatto sapere che “la cosa più importante adesso è mandare un messaggio molto chiaro nella regione: state lì, aiuteremo a sostenere le persone lì dove sono”. Una posizione condivisa anche dal ministro tedesco dell’Interno Horst Seehofer. Che prima di unirsi ai suoi omologhi europei per la riunione straordinaria di oggi pomeriggio ha detto di ritenere “poco saggio” parlare ora di contingenti di profughi “che potrebbero provocare un effetto ‘pull’”. 

Afghanistan, la nuova mappa delle alleanze

di

Giampaolo Cadalanu

Pietro Del Re

Anna Lombardi

Gianluca Modolo

Vincenzo Nigro

Carlo Pizzati

Fabio Tonacci

31 Agosto 2021

Merkel e Maas hanno fatto sapere che la Germania da sola conta di accogliere 40mila ex collaboratori dell’esercito o del governo tedesco. Ma, complice anche la campagna elettorale, a Berlino nessuno vuole parlare di quote ulteriori. Ufficialmente i vicini di casa dell’Afghanistan si mostrano riottosi ad accudire i rifugiati dal Paese riconquistato dai talebani. Ma la Ue – anche per l’indisponibilità ad accogliere profughi già dichiarata da Austria, Slovenia, Ungheria e Polonia – sta tentando di aprire un canale con tutti per garantire che i rifugiati siano accuditi a sufficienza da non mettersi in viaggio in massa verso l’Europa.

In questa prima fase dell’emergenza, la parola d’ordine è: sostenere l’Unhcr, la Croce rossa e i governi della regione che li ospitano. Fonti diplomatiche ricordano che una delle spinte che mise in moto il grande esodo dei siriani verso l’Europa fu il fatto che l’Unhcr e le altre organizzazioni internazionali non fossero state più in grado di garantire cibo sufficiente ai profughi che avevano trovato rifugio nei Paesi confinanti. Un errore che la Ue non vuole ripetere. 

Da qui a stringere accordi con uzbeki, turkmeni o pakistani sulla falsariga di quanto già fatto con la Turchia nel 2016, ce ne passa. Come ha spiegato anche il Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni a Repubblica, le controindicazioni sono troppe. In altre parole, dopo i continui ricatti di Erdogan all’Ue in questi anni, a Bruxelles si considera con grande cautela l’ipotesi di intese di questo tipo.

Una seconda discussione che prosegue sottotraccia è quella su un possibile sblocco dell’impasse sulla difesa comune. Da Gentiloni al candidato della Cdu/Csu alla cancelleria, Armin Laschet si moltiplicano le voci di chi chiede che il principio di unanimità che impedisce ad esempio l’utilizzo dei 5000 uomini della forza militare di intervento rapido europea venga sbloccato e di riesca a convergere sulla costruzione di un esercito comune. Ad esempio con forme di cooperazione rafforzata o con una “coalizione dei volenterosi”  che includa Paesi come l’Italia, la Francia o il Regno Unito che si sono già mostrati disposti a ragionarci su. 

In teoria, anche il governo tedesco è della partita, ma il 26 settembre si vota, e se la Spd, attualmente avanti nei sondaggi, dovesse allearsi con i Verdi, o, peggio, con la Linke, la Germania rischierebbe la paralisi su molte questioni che riguardano la difesa. L’esempio più eclatante è il progetto franco-italo-tedesco-spagnolo dell’Eurodrone, che causa veto della Spd non è stato armato. Un futuro governo progressista in Germania sarebbe sicuramente un’ottima notizia per le politiche migratorie, ma rischierebbe di rendere molto più vischiosa una collaborazione europea sul piano della difesa.

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