Un farmaco anti tenia può bloccare il danno polmonare del Covid: lo ha scoperto un gruppo di ricercatori guidati da Mauro Giacca, docente di scienze cardiovascolari al King’s College di Londra. Grazie anche a un avanzatissimo sistema di screening robotizzato che permette di sperimentare in tempi rapidi gli effetti di migliaia e migliaia di molecole fino a trovare quelle ideali per ottenere un risultato. In questo modo il gruppo di Giacca ha trovato anche il modo per riparare fino al 90% del tessuto cardiaco danneggiato da infarto, usando una tecnologia simile a quella impiegata da Pfizer e Moderna per i loro vaccini. Il professor Giacca racconterà queste ricerche nel suo intervento il 3 settembre alle 18 a Link Festival del giornalismo e dei nuovi media a Trieste, in dialogo con il presidente Aifa Giorgio Palù. Sempre a Link Festival oggi alle 19 sarà consegnato il Premio FriulAdria Testimoni della Storia al direttore di Repubblica Maurizio Molinari. Diretta su Repubblica TV. Il programma su linkfestival.it
Come nasce la vostra ricerca per un farmaco anti Covid?
“Nel 2020, collaborando con l’anatomopatologa Rossana Bussani dell’ospedale universitario di Trieste, ci siamo accorti che nei polmoni dei pazienti deceduti per Covid compaiono delle strutture molto particolari: dei grandi aggregati di cellule fuse insieme, detti sincizi. Questo succede perché la proteina “spike” del virus, per legarsi alle cellule da infettare, attiva una molecola che sta sulla superficie delle cellule, la fosfatidilserina, che favorisce la fusione. Il problema è che questo composto poi porta anche le cellule a fondersi tra di loro, creando ammassi che favoriscono la trombosi che si vede nel 90% dei pazienti con forme gravi di Covid. In questi pazienti si vedono coaguli sia nelle grandi che nelle piccole arterie polmonari”.
Così vi siete chiesti come impedire questo effetto. E cosa avete scoperto?
“Al King’s College abbiamo delle collezioni con pressoché tutti i farmaci già approvati per l’uso umano, circa 3800, e abbiamo attrezzature robotiche che ci permettono di sperimentarli contro qualsiasi tipo di bersaglio, per trovare nuovi usi. In questo caso volevamo individuare dei farmaci che, bloccando la fosfatidilserina, impedissero le fusioni cellulari tipiche del Covid. E ne abbiamo trovati tre, il più efficace è il niclosamide, farmaco che oggi è usato per le infezioni da tenia. E in questo momento, grazie a un accordo internazionale, è in corso la sperimentazione clinica in cinque centri in India. In Corea la compagnia farmaceutica Daewoong ha somministrato il farmaco a dei furetti infettati con Sars-CoV-2: dopo tre giorni il virus era completamente sparito. Perché oltre a prevenire i sincizi, il niclosamide sembra inibire efficacemente anche l’infezione virale. Tra gli esperti c’è chi, come il direttore del dipartimento di virologia del King’s College, sostiene che questo farmaco sia al momento il miglior antivirale contro il Covid. Ovviamente se parliamo di farmaci non specifici. Perché dobbiamo tenere presente che per la fine di quest’anno dovrebbero arrivare, grazie agli sforzi della comunità scientifica internazionale, i primi farmaci specifici contro il virus, che hanno come target due enzimi caratteristici del Sars-Cov-2: la polimerasi, che replica lo RNA virale, e la proteasi, che taglia le proteine del virus per attivarle”.
Come state sperimentando questo farmaco in funzione anti Covid?
“In India lo si sta sperimentando sui pazienti con forme di Covid più avanzate. Questo perché se lo si sperimentasse sui pazienti nella fase iniziale del Covid, visto che molti di questi pazienti guariscono spontaneamente, sarebbe difficile capire se la guarigione è dovuta al farmaco o solo al sistema immunitario del paziente. Ma se verrà confermata l’efficacia della cura sui pazienti in fase più avanzata, allora si presume che potrà funzionare anche per le prime fasi della malattia. La somministrazione potrà avvenire tramite spray nasale”.
E in che modo, sempre grazie alle vostre attrezzature avanzate, avete trovato il modo di riparare il cuore degli infartuati?
“Sappiamo che in molte specie, uomo compreso, esiste un programma genetico per rigenerare il cuore in caso di danno: ma funziona solo nella prima settimana di vita. Ci siamo chiesti se si potesse intervenire per riattivarlo anche in età adulta. Così, sempre con il nostro sistema di screening robotizzato, abbiamo sperimentato circa 2.000 molecole dette micro Rna che hanno il potere di riattivare e disattivare i programmi genetici del corpo. E ne abbiamo trovate una quarantina in grado di rigenerare al 90% i cardiomiociti persi con l’infarto”.
Come riuscite a portare i micro RNA nel cuore?
“All’inizio di questa ricerca usavamo un vettore virale. Però quella non era la soluzione ideale: il virus infatti tende a rimanere anche dopo che il cuore è rigenerato, e non desideriamo qualcosa che continui a esprimere micro Rna per tutta la vita, né dei virus che rimangano attivi nel paziente. Serviva qualcosa che, una volta ottenuto l’effetto rigenerativo, si dissolvesse in tempi brevi. Così ora usiamo come vettore una nanoparticella lipidica, esattamente come si fa per i vaccini anti Covid di Pfizer e Moderna. In questo modo i micro Rna rimangono attivi solo per 7-10 giorni, il periodo strettamente sufficiente per comandare alle cellule cardiache di proliferare e riparare il danno. Nei vaccini di Pfizer e Moderna il contenuto della nanoparticella lipidica è l’Rna messaggero che comanda alle cellule di fabbricare la proteina spike per provocare la reazione immunitaria. Nel nostro caso invece la nanoparticella contiene un micro Rna (detto 199A) che stimola la replicazione delle cellule cardiache”.
Se questa terapia passerà la sperimentazione clinica, come si applicherà al paziente infartuato?
“Quando il paziente infartuato arriva in ospedale, si rivascolarizza il suo cuore tramite angioplastica, però ovviamente a quel punto quello che è danneggiato è danneggiato, ovvero molte cellule cardiache sono morte. Ecco come rimediamo: il cardiologo interventista può iniettare, tramite lo stesso catetere usato per l’angioplastica, una quantità di nanoparticelle con micro Rna. Sono delle sferette che entrano nelle cellule cardiache rimaste vive e, nei successivi 7-10 giorni, stimolano la loro proliferazione, così da ripristinare il tessuto cardiaco”.
Cosa possiamo aspettarci, più in generale, per il futuro dalla medicina basata su Rna?
“Oggi l’industria farmaceutica è molto brava nella produzione di piccole molecole chimiche. Però per affrontare malattie complesse come le malattie cardiovascolari, o quelle neurodegenerative, o le malattie del sistema immunitario la risposta non può essere solo quella: le piccole molecole chimiche funzionano benissimo quando c’è da bloccare qualche attività indesiderata. Per attivare dei veri e propri programmi biologici, come quello della rigenerazione cardiaca, serve un altro tipo di approccio: serve l’Rna, che può istruire l’organismo a produrre le proteine utili alla guarigione”.