Pensioni, si studia un’uscita flessibile a partire da 63 anni

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ROMA – Non ci sarà una riedizione di Quota 100, nonostante il leader della Lega Matteo Salvini minacci «le barricate dentro e fuori dal Parlamento» per difendere la misura bandiera del suo partito. Ma neanche un ritorno al precedente regime previdenziale: sarebbe iniquo che chi matura il diritto alla pensione dall’1 gennaio 2022 dovesse aspettare almeno altri cinque anni, le forze politiche concordano tutte su questo aspetto. Però qui finiscono le certezze: per il resto ci sono solo ipotesi, che sembrano ruotare intorno a un numero che non è magico, ma che potrebbe costituire un buon punto di partenza, e cioè il numero 63. Posto cioè che quota 100 permetteva di andare in pensione a 62 anni con 38 di contributi, ma che l’Unione Europea boccia senza appello la riedizione della misura, si può ragionare in termini di flessibilità di uscita a partire dai 63 anni. Come, è da vedere. E non nell’immediato: la discussione entrerà nel vivo solo una volta varata la Nota di aggiornamento al Def, il 27 settembre.

In realtà a insistere sui 62 anni per l’uscita non è solo il leader della Lega, ma anche i sindacati che hanno appena lanciato un appello per riprendere la vertenza. Finora infatti c’è stata una sola convocazione al tavolo della riforma previdenziale aperto al ministero del Lavoro, prima della pausa estiva. Cgil, Cisl e Uil hanno presentato la loro piattaforma che prevede di andare in pensione a partire dai 62 anni, o con 41 di contributi a prescindere dall’età. Un’ipotesi ritenuta costosa, a meno che i prepensionati non si accontentino di un assegno un po’ più basso, o che non si trovi un meccanismo di sostegno delle pensioni anticipate, sul modello del fondo costituito dai bancari. Un modello possibile, il governo non esclude nulla, ma difficile da replicare per tutte le categorie.

«Il tema dello scalone c’è – conferma la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra -. Penso che si possa ragionare su forme di anticipo che sfruttino le caratteristiche del sistema contributivo: si va in pensione un po’ prima, sempre dopo aver raggiunto una certa anzianità, a 63, 64 o 65 anni, e si accetta una penalizzazione che però non deve arrivare a quella, eccessiva, di Opzione Donna». Proprio Opzione Donna, però, oltre all’Ape sociale, magari rafforzate, potrebbero essere le vie minime di flessibilità in uscita adottate dal governo all’indomani di Quota 100. In questa direzione va la decisione del ministro del Lavoro Orlando di istituire una commissione sui lavori gravosi, anche per correggere le storture di Quota 100, che ha avvantaggiato soprattutto chi ha avuto una carriera contributiva lunga e stabile.

Una riforma più ad ampio raggio, aggiunge Guerra, permetterebbe anche di affrontare il tema delle «pensioni di garanzia per i giovani e per le donne». Si pensa a un sistema che «valorizzerebbe ai fini della pensione i periodi dedicati al lavoro di cura e quelli dedicati al lavoro di formazione da parte dei giovani, e non solo. Una contribuzione figurativa più bassa di quella ordinaria ma che permetterebbe di avere pensioni decenti, che evitino il ricorso all’assistenza». Un’ipotesi sostenuta dal ministro Orlando, dai sindacati e da diverse forze politiche, ieri l’ha riproposta anche il responsabile Economia del Pd Antonio Misiani.

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