Fisco, 10 miliardi per la riforma ma sulla casa è scontro tra partiti

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Roma – Meno Irpef e un anticipo di tagli all’Irap fin dal 1° gennaio del prossimo anno. È questo il piano cui stanno lavorando governo e maggioranza per accompagnare la spinta all’economia e rafforzare la crescita messa in moto dal Recovery Plan. Il pacchetto che prevede la prima tranche di riduzione delle tasse, principio sul quale convergono tutte le forze della maggioranza che sono invece ai ferri corti sul catasto, dovrebbe prevedere una riduzione o l’accorpamento della famigerata terza aliquota Irpef del 38 per cento (tra i 28 e i 55 mila euro) che presenta un salto di oltre 10 punti rispetto alla seconda, penalizzando contribuenti e lavoratori dipendenti a causa del celebre “salto di aliquota”. L’intervento potrebbe essere accompagnato da una limatura dell’Irap, tassa sulle attività produttive pagata dalle imprese, di cui da tempo e da più parti si chiede la riduzione o l’abolizione.

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A questa soluzione si arriverebbe per accorciare i tempi e ottenere un risultato immediato. La legge delega di riforma del fisco infatti ha un percorso assai lungo: si attende per la prossima settimana il varo da parte del Consiglio dei ministri anche se c’è chi dice che, per evitare un confronto su un tema caldo come le tasse con connessa esibizione delle varie “bandierine”, si potrebbe slittare a dopo le elezioni amministrative. Inoltre l’approvazione delle legge delega cadrebbe in concomitanza con la sessione di Bilancio e avrebbe un cammino complesso, senza contare che successivamente il governo dovrebbe varare i decreti delegati che comporranno la riforma fiscale. C’è infine la questione delle risorse: la legge delega non le contiene mentre la legge di Bilancio avrebbe la possibilità di stabilire le adeguate coperture già per il 2022.
 

Proprio la questione delle risorse vedrà una soluzione la prossima settimana quando il governo varerà la cosiddetta Nadef, cioè la nota che aggiorna il documento di economia e finanza dell’aprile scorso. Per ora sono disponibili 2-2,5 miliardi, troppo poco. Ma è possibile che ci sia una sorpresa positiva: il Pil di quest’anno sta crescendo al ritmo del 6 per cento e se questa cifra fosse confermata ci sarebbe una crescita di 1,5 punti di Pil in più di quanto stimato nell’aprile scorso. Significa, come fanno notare i tecnici, che secondo la “regola del pollice” ci sarebbero 10-12 miliardi di maggior gettito da utilizzare in parte per finanziare il primo intervento fiscale di Mario Draghi. Il Recovery Plan prospetta inoltre alti tassi di crescita anche per gli anni successivi assicurando in parte la strutturalità del taglio delle tasse che beneficerebbe anche di interventi sulle detrazioni fiscali (specialmente a favore della decarbonizzazione) e un giro di vite con una nuova e mirata spending review. 

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La delega naturalmente resta al centro dell’azione di Draghi che punta a realizzarla con contenuti di alto profilo. Il punto centrale sarà il proseguimento dell’intervento pluriennale di riduzione delle tasse per i ceti medi e le imprese, ma si daranno indicazioni anche per tracciare un sistema “duale” che renda omogenea da una parte la tassazione di imprese, rendite e capitali e, dall’altra, di lavoro dipendente e pensioni (con un occhio ai regimi forfettari e sostitutivi dell’Irpef). Confermato l’ingresso nella delega di un sistema di tassazione, la cosiddetta Tasp (tassazione agevolata del secondo percettore) che attraverso un credito d’imposta favorirà l’occupazione prevalentemente femminile. 

Resta invece in bilico la revisione del catasto: la Lega e il centrodestra, che hanno già dovuto accettare l’accantonamento di ogni forma di flat tax, si oppongono fino al punto di spingere per un rinvio del varo della delega: ieri Bitonci ha parlato di “utopia” e anche i M5S è contrario. Mentre il Pd vorrebbe far scattare la riforma al più presto. «Puntiamo a fare in fretta», osserva Gian Mario Fragomeli, deputato, esperto fiscale del partito.

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