MILANO – La mini tassa per i super ricchi continua a sedurre i paperoni stranieri. L’imposta sostitutiva introdotta nel 2016, che permette a chi trasferisce la propria residenza fiscale nel nostro Paese di pagare soltanto 100 mila euro in relazione a tutti i redditi prodotti all’estero, lo scorso anno è stata adottata da 592 contribuenti. A questi si aggiungono 198 familiari che secondo quanto previsto dalla norma possono aderire allo stesso beneficio versando un’imposta di 25 mila euro. Numeri in crescita, fotografati dalla relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato dai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, che certificano il sempre maggiore interesse per la misura. Nel 2019 i beneficiari della misura erano 318, a cui si erano aggiunti 111 familiari.
La Svizzera studia la stangata fiscale per i super ricchi: ora i Paperoni potrebbero guardare all’Italia
di
Franco Zantonelli
10 Settembre 2021
Modesto invece il contributo per l’Erario. Nel 2020 dall’imposta sostitutiva sono entrati 64,16 milioni di euro, quasi il doppio rispetto ai 34,59 milioni di euro di gettito del 2019 e ben di più di quanto incassato nei primi due anni di applicazione: 8,3 milioni nel 2017 e 21,27 milioni nel 2018.
Come fatto già negli anni scorsi, la Corte dei Conti è tornata a mettere in evidenza alcune criticità. “Le scarne informazioni disponibili non consentono di conoscere l’ammontare dei redditi esteri sui quali agisce l’imposta sostitutiva, né sulle imposte ordinarie che sarebbero state effettivamente prelevate su tali redditi in assenza del regime sostitutivo”, si legge nella relazione. Per questo, scrivono ancora i magistrati contabili, “continua a essere arduo valutare la rispondenza della misura alla finalità della stessa, così come dichiarata nella relazione illustrativa alla legge di bilancio per il 2017, ‘di favorire gli investimenti in Italia da parte di soggetti non residenti'”.
Il rilievo principale della Corte riguarda proprio la difficoltà nel verificare l’effettivo “successo” della misura, anche perché la stessa non prevede che la concessione del beneficio fiscale sia vincolata ad investimenti nel nostro Paese. “La disciplina, infatti, appare principalmente indirizzata a favorire soggetti che possono ritrarre fonti di reddito da più paesi e che trasferiscono la propria residenza in Italia per finalità lavorative (come nel caso, probabilmente frequente, degli sportivi professionisti), residenziali o per altre ragioni, senza tuttavia esigere come pure ci si sarebbe dovuto attendere, un tangibile collegamento con la realizzazione di investimenti produttivi nel Paese”, sottolinea la Corte.