Elezioni in Germania, Scholz e Laschet sul filo: per l’Europa c’è il rischio di un ritorno all’austerità

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BERLINO – Per il voto più pazzo della storia la Bild ha deciso di affidarsi alle stelle. Secondo l’oroscopo di Jasmin Rachlitz, l’acquario Armin Laschet subisce in questi giorni il passaggio di Giove che gli stroncherebbe la simpatia. Olaf Scholz, leader dei socialdemocratici, nato sotto il segno dei gemelli, è invece il favorito delle stelle. Ma andrà davvero così? Gli ultimi sondaggi suggeriscono un risultato sul filo: secondo l’istituto Allensbach Laschet è al 25%, Scholz al 26%. E chi preferisce i numeri all’astrologia, come il Nobel dell’economia Joseph Stiglitz, ha messo già in guardia da una Germania che in ogni caso potrebbe spingere per un ritorno alle austere e castranti regole del Patto di stabilità. Tutto dipenderà dai probabili “king maker” di queste elezioni: I Verdi, i Liberali o la Linke. Che hanno zero possibilità di esprimere il cancelliere, ma che saranno determinanti nella formazione del governo.

La Germania affronta un voto epocale, che potrebbe cambiare profondamente la natura della sua politica e della sua proiezione in Europa. Se il prossimo cancelliere dovrà venire a patti, come sembra, non con uno ma con altri due partiti, la Germania del futuro sarà più instabile, segnata più dalla coalizione che da un cancelliere. Non sarebbe la prima volta di un governo a tre, ma la prima di un esecutivo senza un partito dominante. In questo senso, sarà un voto che non chiude solo l’era Merkel, ma oltre settant’anni di politica tedesca. E il “merkeleggiare”, i proverbiali tempi lenti della cancelliera uscente potrebbero diventare strutturali, a prescindere dal capo di governo.

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Tonia Mastrobuoni

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Certo, il contratto di coalizione che si negozierà nei prossimi mesi potrebbe continuare a essere la bussola del prossimo esecutivo. Ma fino a Gerhard Schroeder è sempre stato poco più di un pezzo di carta. Nell’ultimo contratto di coalizione rosso-verde non figurava neanche la riforma più ambiziosa dell’era Schroeder: l’Agenda 2010. Il 66% dei tedeschi, intanto, ha manifestato il desiderio che il governo cambi: una percentuale altissima. All’inizio dell’era Merkel, nel 2005, era il 45%. Nel 1998, quando Schroeder vinse le elezioni contro Helmut Kohl, il 50%.

Se il risultato dovesse essere sul filo, sia Scholz sia Laschet potrebbero cominciare a sondare contemporaneamente gli altri partiti per formare un governo. Per il socialdemocratico, un accordo con i Verdi è dichiaratamente la soluzione ideale. Ma i problemi cominceranno quando dovrà sedersi al tavolo anche con i liberali per una coalizione cosiddetta “semaforo” (Spd, Liberali, Verdi). È noto che il leader della Fdp, il “falco” rigorista Christian Lindner, potrebbe reclamare il ministero delle Finanze. Così Scholz, l’uomo che da responsabile dei conti pubblici si è guadagnato la nomea di grande mediatore in Europa – anche con i frugali – che è stato determinante nella definizione del Recovery Fund e lo ha definito “momento hamiltoniano” e che ha riempito il ministero di sottosegretari e funzionari keynesiani, potrebbe essere un cancelliere frenato, quando si tratterà di negoziare sul Patto di stabilità o sul futuro degli eurobond.

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24 Settembre 2021

Il discorso sarebbe diverso se Scholz facesse un’alleanza con i Verdi e con la Linke. La sinistra della Spd preme in quella direzione e se ha taciuto finora per non danneggiare lo spitzenkandidat, è piuttosto sicuro che ricomincerà ad alzare la testa da domattina. Dal punto di vista del futuro delle regole di bilancio, sarebbe il governo più dialogante. Ma dal punto di vista delle politiche della difesa, la sinistra radicale è un freno micidiale: ha ammesso a stento che potrebbe accettare che la Germania continui a far parte della Nato, pur di entrare in un governo Scholz. Ma le missioni militari della Germania, sottoposte per legge al voto del Bundestag, o i progetti sulla difesa europea potrebbero diventare ogni volta una via crucis.

Se il suo rivale Laschet dovesse riuscire a formare una coalizione con il partner storicamente prediletto, la Fdp, più i Verdi per un governo “Giamaica”, il nuovo esecutivo potrebbe essere più rigorista di Merkel per il semplice fatto che lo è l’attuale Cdu, dove i maggiorenti non mancano di sottolineare che non vogliono “un’Unione dei debiti” e che pretendono un rapido ritorno al Patto di stabilità, e lo è sicuramente la Fdp, il partito che votò in parte contro i pacchetti di salvataggio greci. Laschet, candidato merkeliano, morbido sui profughi e entusiasta del Recovery Fund, sarebbe assediato dai falchi come il possibile ministro delle Finanze, Friedrich Merz.

Improbabile, invece, una riedizione della Grosse Koalition. Gli elettori sono stanchi di dodici su sedici anni di alleanza Cdu/Csu-Spd: lo ripete soprattutto Scholz. In queste settimane si ragiona anche su un opzione “Germania”: un’alleanza tra Cdu/Csu-Spd e Liberali o “Kenya”, Cdu/Csu-Spd e Verdi. Ma sarebbe sempre una “Grande coalizione più”, e non un governo di cambiamento.

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