Voto in Germania: Draghi e il rischio di tempi lunghi per il governo di Berlino

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ROMA – Nessuno può far finta di nulla. Neanche Mario Draghi, che pure per mesi ha investito energie per costruire con Emmanuel Macron un nuovo asse italo-francese. Non c’è paracadute sufficientemente solido da compensare l’uscita di scena di Angela Merkel. Con il voto tedesco bisogna fare i conti. Inciderà sull’agenda dei Ventisette. Senza la Germania, l’integrazione a cui lavorano Roma e Parigi resterà un’illusione.

E quindi, attesa è la parola chiave. Non tanto – o non solo – per i nuovi equilibri a Berlino, visto che le frange estreme sembrano comunque all’angolo. Piuttosto, per la tempistica della formazione del governo. Ci vorranno mesi. La grande paura, in queste ore, è che una lunga vacatio tedesca congeli l’Unione, proprio quando sarebbe necessario correre. Bloccando alcune riforme cruciali che il premier ha a cuore: l’immigrazione, la difesa comune e il nuovo Patto di stabilità.

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dalla nostra corrispondente

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La linea del premier, alla vigilia del voto, è un invito all’integrazione. “Un’Europa più forte sul fronte economico e militare – sostiene – è il solo modo per avere un’Italia e una Germania più forti”. Ma questa filosofia sarà messa alla prova dagli assetti post-elettorali. Qualcuno sostiene che a Roma converrebbe una nuova larga coalizione Spd-Cdu, per garantire una certa continuità.

È ovvio però che a Palazzo Chigi nessuno esprima oggi una preferenza. Altro discorso vale invece per i tempi della formazione del governo. Le decisioni su alcuni dei dossier più “pesanti” arriveranno tra non meno di un anno. Ma congelare per mesi la discussione rischia comunque di complicare il quadro.

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La difesa comune, ad esempio. È centrale, nel dialogo italo-francese. Draghi ci punta. Ma se in Germania il pendolo delle alleanze dovesse pendere troppo a sinistra, non mancherebbero gli ostacoli. E ancora: le regole del Patto di stabilità. Saranno ridiscusse nel 2022. E anche l’opzione di rendere strutturale il Recovery è uno scenario prematuro: il premier vuole prima dimostrare che l’Italia è in grado di spendere bene le risorse del Next Generation Eu. Resta il fatto che una politica economia espansiva – reclamata da Roma e Parigi – potrebbe incrociare le resistenze del nuovo governo tedesco.

Draghi conosce questi rischi. E sa anche di doverne affrontare altri, complicati. La riforma dell’immigrazione giace impolverata sui tavoli dei leader di mezza Europa. Il premier ha chiesto un meccanismo di redistribuzione già nel giugno scorso, senza grandi risultati. Ha ottenuto però di parlarne di nuovo nel Consiglio europeo di ottobre. Anche in questo caso, senza un governo pienamente operativo in Germania il problema potrebbe essere rinviato. Certo, la stagione invernale riduce gli sbarchi e, di conseguenza, la fretta del governo.

Ma l’emergenza afghana, che può trasformarsi anche in problema migratorio, spingerà l’Italia a insistere. E poi c’è il capitolo “verde”, tra le priorità del presidente del Consiglio in vista della Cop26 di Glasgow. La Germania è il Paese più inquinante dei Ventisette. I Verdi tedeschi peseranno nel nuovo esecutivo, ma potrebbero addirittura complicare “da sinistra” gli accordi.

Tempi lunghi, prima ancora che nodi programmatici: ecco il problema di Draghi. Il quale, con l’addio di Merkel, perde un interlocutore a cui era legato da antica consuetudine. Un nuovo rapporto andrà ricostruito. E anche questa è una sfida.
 

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