“Ho cercato un parroco per confessarmi e togliermi la vita. Avevo perso la speranza. Il prete ha detto che poteva accedere a un ossario comune”. Davide Pecorelli racconta a La Nazione la sua versione dei fatti. Gli ultimi 9 mesi della vita dell’imprenditore umbro, ex arbitro ad Arezzo, sono avvolti da una nube di mistero: sparito nove mesi fa in Albania, dove l’auto che aveva noleggiata fu trovata bruciata con ossa umane all’interno, è ora riapparso naufrago su un gommone al largo di Livorno.
Era non lontano dall’isola di Montecristo, dove a suo dire si era recato alla ricerca di un tesoro. Quando di lui si persero le tracce a gennaio a Puke, sarebbe stato aiutato da un parroco a inscenare il suo omicidio. “Non è vero che i resti umani li abbiamo presi da una tomba – dice a La Nazione -. La macchina sarebbe dovuta precipitare nel dirupo ma sembravamo Fantozzi e Filini. Non riuscivamo a spingerla giù”.
Il motivo? I creditori e la crisi dovuta al Covid. “Ho messo nei guai anche la mia compagna. Avevo rimorsi di coscienza nei confronti dei miei figli: la mia situazione era ormai drammatica”.
Quando è stato ritrovato, Pecorelli ha raccontato di essere stato in ritiro spirituale a Medjugorje, mentre in realtà si trovava a Valona, almeno negli ultimi mesi come riportano i quotidiani albanesi, dove si era fatto crescere i capelli e aveva finto si essere uno scrittore di nome Cristiano. Poi sarebbe arrivata l’avventura del tesoro sull’isola di Montecristo, a suo dire, architettata insieme alla comunità religiosa che frequentava in Albania, con il suo rientro in Italia su un autobus di pellegrini diretto a Roma.
Nell’ultima parte del viaggio ha finto di essere un geologo di nome Giuseppe, fino a quando non è stato trovato dai carabinieri il 18 settembre scorso. Ora dovrà rispondere dei reati commessi e respinge con forza l’ipotesi secondo cui dietro la sua scomparsa ci sarebbe stato un traffico di droga tra l’Albania e l’Italia.